Da un lato c'è la campagna mediatica sulle spese militari, dall'altro il caso Petrocelli. Giuseppe Conte, nonostante l'annuncio del ministro della Difesa Lorenzo Guerini sul dilazionamento del budget per la difesa, intende continuare a parlare del tema degli armamenti, su cui ha battuto il tasto nelle ultime settimane provocando anche i mal di pancia degli alleati del Pd. Così ieri l'ex premier rilancia sui social: «Come avevamo chiesto, il governo nel Documento di economia e finanza non fa riferimento a incrementi delle spese militari: non sono la priorità del Paese in questo momento. Lo abbiamo sostenuto con forza, è un bene per il Paese che la nostra indicazione sia stata accolta». Il capo dei Cinque stelle cavalca un tema caro all'elettorato pacifista, ma in pochi, anche nel Movimento, hanno capito seriamente dove voglia andare a parare. Forse insisterà fino all'autunno, quando ci sarà il dibattito sulla manovra di bilancio e la questione sarà di nuovo in agenda. Di certo ha trovato uno sbocco per marcare le differenze con il centrosinistra e connotare un partito da tempo privo di identità. Tanto che, tra i pentastellati, c'è chi si spinge a dire che «Conte staccherà la spina a Draghi in autunno». In tempo per affrontare con le mani libere una campagna elettorale barricadera e probabilmente con una legge elettorale proporzionale.
Intanto ha convocato per oggi - dalle 9 alle 11 - un'assemblea congiunta in presenza a Montecitorio con i capigruppo del M5s nelle varie commissioni parlamentari. In agenda un solo punto: «La questione delle spese militari». Ma il pressing divide anche lo stesso Movimento, con Luigi Di Maio che non vacilla sull'atlantismo. «Non capisco che cos'altro avrà da dire», spiega un deputato vicino al ministro degli Esteri. Il timore di tanti in Parlamento è sempre l'instabilità, anche se Conte ha assicurato che non cerca «nessuna crisi di governo».
Mentre il M5s è in crisi sulla sorte del presidente della Commissione Esteri del Senato Vito Petrocelli. Il senatore, tacciato di essere filo-russo e filo-cinese, dovrebbe essere espulso dal partito per la mancata fiducia al governo sul decreto Ucraina. Una cacciata che però non tutti danno per scontata. Il vicecapogruppo a Palazzo Madama Vincenzo Garruti insinua il dubbio in un colloquio con l'Adnkronos: «Petrocelli ha dimostrato grande valore e impegno, sbaglia di grosso chi parla di espulsione scontata». Per Garruti la «situazione è in fieri e sono in campo tutte le ipotesi». Eppure le regole del M5s parlano chiaro: chi non vota la fiducia è fuori. Così come è accaduto l'anno scorso a chi non ha votato la fiducia al governo Draghi. E infatti Conte è stato chiaro: «Petrocelli si è messo fuori da solo». Al momento, quel che appare certo, è che il senatore lucano non abbia nessuna intenzione di dimettersi dalla presidenza della commissione Esteri.
«La fiducia politica è già venuta meno, ora la questione va affrontata solo dal punto di vista regolamentare, ma è chiaro che Petrocelli non potrà più essere presidente», dice al Giornale Alessandro Alfieri, senatore del Pd componente della commissione Esteri.Ma senza un passo indietro dell'interessato resta in piedi un'unica ipotesi: le dimissioni di tutti i membri della commissione e la ricostituzione ex novo.
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