Giuseppe Conte, il temporeggiatore, non esprime un'opinione ma preferisce fotografare la situazione. Impossibile l'alleanza giallorossa alle prossime amministrative di ottobre nelle grandi città, meglio che la collaborazione tra il Pd e il M5s sia proiettata verso le prossime elezioni politiche, in programma per il 2023, salvo sorprese. Conte lo dice in mattinata e lo ripete in serata. E allora il Pd per il leader in pectore dei Cinque Stelle «è un interlocutore affidabile con cui ragionare». La prospettiva è lunga, perché per quanto riguarda i comuni al voto a ottobre ci sono ancora problemi. Soprattutto a Roma, dove Virginia Raggi non molla, e a Torino, dove i dem hanno annunciato le primarie. Nodi aperti anche a Milano (con Beppe Sala intenzionato alla corsa solitaria) e a Bologna. Nel capoluogo dell'Emilia-Romagna la candidatura della renziana Isabella Conti ha spaccato il Pd e mandato in tilt i giallorossi. Che a questo punto potrebbero andare insieme solo a Napoli con Roberto Fico. «Sarebbe un peccato se sulle amministrative non si riuscissero a concordare alcuni passaggi insieme, i tempi non sono ancora maturi per una alleanza a tutto tondo», dice Conte all'evento online il Festival del Lavoro, organizzato dall'Ordine dei consulenti del lavoro.
Il capo politico incaricato schizza da un dibattito all'altro. Nel pomeriggio debutta accanto al segretario del Pd Enrico Letta. L'occasione è un incontro organizzato da Le Agorà, la corrente di Goffredo Bettini. Presente anche Elly Schlein, civica di sinistra, vicepresidente dell'Emilia-Romagna.
Il quadro che esce fuori è quello di una coalizione che prova a compattarsi da qui a due anni. Sfuma di fatto il cartello giallorosso alle comunali. L'ex premier immagina uno schieramento che con M5s, Pd e Leu. «Il campo largo del futuro», dice. Che dovrà essere «competitivo in vista delle prossime elezioni politiche». Il mezzo stop sulle amministrative tutto sommato conviene al nuovo leader. Conte così sfugge al primo test interno delle grandi città, se ne lava le mani e rinvia tutto al 2023. Nel frattempo tiene a bada la fetta del partito che vorrebbe mantenersi autonoma dal centrosinistra. «Il M5s ci sarà», assicura però Conte al «caro amico Bettini». L'avvocato piroetta sui concetti di destra e sinistra. Un colpo al cerchio quando dice che «in un contesto globale è difficile riconoscere lo schema destra-sinistra». Uno alla botte nel momento in cui spiega: «Se guardiamo alla dicotomia progresso-conservazione, alla luce di questo criterio, dovrei dire che il M5s potrebbe rivelarsi una forza senz'altro di sinistra».
Ma la convergenza immediata è frenata anche dalle resistenze nel Pd. «L'obiettivo principale sono le elezioni politiche nel 2023», ribadisce Enrico Letta. Insomma, «le amministrative saranno una tappa intermedia verso la costruzione di un progetto comune». Ostacolato sempre dalle beghe interne a un M5s in subbuglio. «Ancora qualche giorno» dice Conte. Si parla di un evento online previsto per i primi di maggio. La nuova piattaforma «esterna» sarebbe pronta. Ma in serata arriva la doccia fredda per l'ex premier: il rischio scissione non è poi così remoto. A dirlo è Vita Martinciglio, deputata della Commissione Finanze, nel corso della riunione dei capi-commissione M5S con Conte. Potresti ritrovarti con una forza politica che non sarà più la prima in parlamento, il senso del ragionamento.
Sul futuro del M5s incombe sempre il labirinto legale. Oggi è attesa anche la mossa del tribunale di Cagliari.
I giudici sardi potrebbero decidere sul curatore speciale e ordinare la votazione per l'organo collegiale. Intanto Davide Casaleggio attende di sapere a chi consegnare i dati e offre Rousseau alle «liste civiche» che correranno alle prossime amministrative.
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