L'ala giustizialista del M5s preme. Giuseppe Conte (nella foto) è sotto assedio per la linea morbida e garantista seguita sul dossier Decaro. In altri tempi, l'avvocato popolo avrebbe inondato i social con le sue dirette per rilanciare la «questione morale». E sicuramente i parlamentari grillini si sarebbero «incatenati» per chiedere lo scioglimento del consiglio comunale di Bari, dopo l'arresto di 130 persone tra cui la consigliera comunale Maria Lorusso e il marito Giacomo Olivieri, ex consigliere regionale. Oggi, dopo l'invio della commissione d'accesso, al Comune di Bari guidato dal sindaco Pd Antonio Decaro, Conte sceglie la strada della prudenza. A tratti regala sprazzi di garantismo: «Sicuramente la modalità con cui è stato sollecitato il ministro è un chiaro attacco politico» - dice l'ex premier. Mentre dal Movimento nessuna reazione ufficiale, se non una nota affidata alle fonti grilline le quali esprimono «forte preoccupazione». Attaccando il centrodestra di «usare strumentalmente questa vicenda e farne una clava di attacco politico». Parole che confermano come Bari sia il nervo scoperto del M5s. Nel Movimento c'è chi davvero vorrebbe incatenarsi contro Decaro e l'amministrazione Pd. Ma non si può. La comunicazione contiana impone il divieto assoluto di fughe in avanti e rigurgiti di giustizialismo. Una storia che imbarazza i vertici e che spinge l'ala oltranzista ad alzare il tiro con Conte, che ieri a Milano, incoronato nuovo Berlinguer, ha liquidato un altro pilastro del M5s: l'uno vale uno. I parlamentari più battaglieri, Castellone, Ricciardi, Sportiello, vorrebbero una posizione netta sul caso Bari. «La legalità ragionano - è il pilastro dell'azione politica grillina. Ora per compiacere il Pd stiamo abdicando alla nostra battaglia». C'è chi chiede a Conte un passo in avanti. Ma l'avvocato in pochette non affonda. Resta silenzioso e prudente. Con una campagna elettorale alle porte in Basilicata, da fare fianco a fianco con il Pd. Da Bari a Mosca: in casa grillina un altro dossier imbarazza il leader. La mozione di sfiducia al vicepremier Matteo Salvini è l'altro gradino scivoloso. L'atto politico, presentato da Carlo Calenda, il più filo ucraino e bellicista tra i leader del centro-sinistra, è stato sottoscritto da Conte, Fratoianni e Schlein. Andare a rimorchio del leader di Azione fa serpeggiare veleni e malumori nel M5s. Ma c'è un altro passaggio che mette in discussione la strategia dell'avvocato: la mozione di sfiducia mette nel mirino i presunti legami della Lega con Putin. Insomma, l'accusa è il presunto filoputinismo leghista. Conte non è un filo Ucraina. Ma rischia di esserlo, scontentando una parte del suo elettorato e del suo gruppo parlamentare, accettando il diktat di Calenda.
Un bel guaio. Come se ne esce? Tifando per il rinvio del voto sulla mozione. Domani il testo arriva a Montecitorio per la discussione generale. Conte spera nella pausa pasquale per trovare una tregua anche nel Movimento.
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