#Renzistaisereno. Da quando, certamente bravo accademico, ma senza l'esperienza manageriale richiesta dalla legge, si è insediato all'Inps, il professor Tito Boeri è diventato sempre più ingombrante nella scena politico-istituzionale del nostro paese, fino a spingere il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, a violare il silenzio elettorale di questo weekend e a intervenire, ieri, al Festival dell'Economia in corso a Trento. Matteo Renzi, noto economista.
Ma non è solo questo. Sempre da quando, i maligni dicono per fare un piacere a Carlo De Benedetti, ricevendo in cambio da quest'ultimo un appoggio sul Jobs Act, Renzi ha nominato Boeri al vertice dell'Inps, il professore bocconiano ha cominciato a sfornare studi e idee su come riformare (scardinare?) il sistema previdenziale italiano, annunciando un pacchetto di riforme che avrebbe presentato al governo nel mese di giugno.
Ebbene, il mese di giugno comincerà domani, ma le proposte di Boeri sono già note a tutti. Ne è un esempio l'anticipo del pagamento delle pensioni dal 15 al 1° del mese che, però, costa 400 milioni di euro e nessuno ha detto come saranno coperti. Anzi, si è mentito dicendo che l'operazione non ha costi per lo Stato.
Non è del conflitto istituzionale che così si genera, però, che vogliamo parlare oggi, bensì entrare nel merito delle proposte del presidente di quella che tanti ormai chiamano lavoce.inps , a dir poco pericolose, suscettibili di generare un allarme sociale senza precedenti nella storia repubblicana.
Obiettivo: garantire un reddito minimo ai 55-65enni che hanno perso il lavoro e difficilmente trovano un nuovo impiego. Costo dell'operazione: 1,5-2 miliardi di euro. Da trovare come? Ricalcolando con il metodo contributivo le pensioni. Significherebbe sconquassare il sistema pensionistico italiano, che oggi non solo è in equilibrio, ma rappresenta una delle soluzioni più avanzate rispetto ai parametri europei. Nota tecnica, per capirci. I sistemi pensionistici possono essere di due tipi: 1) «a capitalizzazione»: tipico dei sistemi assicurativi privati, per cui durante il periodo assicurativo si versano i premi, e al termine si riceve la rendita in base al montante realizzato; 2) «a ripartizione», per cui gli attivi pagano i pensionati in essere. All'interno del sistema a ripartizione, poi, esistono almeno due metodi di calcolo: 1) il «retributivo», per cui si parte dal numero di anni lavorati, li si moltiplica per un coefficiente prestabilito e si ottiene una percentuale che, applicata alla media degli ultimi stipendi, diventerà la rendita pensionistica. 2) Il «metodo contributivo» di fatto imita il sistema a capitalizzazione, per cui l'ammontare della rendita pensionistica si ottiene capitalizzando i contributi figurativi versati.
In Italia, dopo la riforma Dini continuiamo ad avere un sistema pubblico «a ripartizione», ma, contrariamente al passato con metodo di calcolo contributivo, di fatto in equilibrio nel lungo periodo, se pur con pensioni a regime mediamente molto più basse rispetto al sistema di calcolo precedente, retributivo.
La riforma Dini assunse una transizione molto lunga, applicando il contributivo solo ai neo-assunti, che andranno in pensione nel 2035. Transizione certamente estesa, con l'inevitabile compresenza dei due metodi di calcolo, ma inevitabile per non ingenerare insopportabili conflitti distributivi. Cosa che, invece, accadrebbe, nel Renzi-Boeri frettoloso pensiero. Se il presidente del Consiglio vuole tentare l'ennesima riforma complessiva di tutto l'impianto, auguri. Purtroppo le regole attuariali non lasciano grande spazio alla fantasia, né agli atteggiamenti caritatevoli. Se il premier vuole cimentarsi in questi problemi, si accomodi. E scoprirà che tutte le pensioni in essere in Italia sono da considerarsi «privilegiate», in quanto la rendita pensionistica è sempre superiore ai contributi versati, in percentuali di molto variabili e normalmente più rilevanti per le pensioni più basse. Sembra un paradosso, ma è così.
Ne deriva che se si adottasse fino in fondo il metodo Renzi-Boeri tutti gli assegni oggi in essere dovrebbero essere ridotti e, con grande sorpresa, ne risentirebbero, come abbiamo già detto, più di tutti i destinatari delle pensioni di anzianità e di quelle sociali. Se passa la linea Renzi-Boeri sul contributivo per tutti (passato, presente e futuro), 16 milioni di pensionati italiani si troverebbero l'assegno ridotto mediamente del 30%, con percentuali di decurtazione più alte per gli assegni più bassi, e picchi fino al 50%-60% in meno per alcune categorie particolari, come i pensionati dei fondi speciali Ferrovie dello Stato; Fondo Enel e delle aziende elettriche private; Fondo telefonici.
Non conviene a nessuno continuare in questo gioco al massacro. Ricordiamo che a riformare il sistema previdenziale ci ha pensato, per ultima, Elsa Fornero. E i risultati non sono stati certo dei migliori. Non ha, dunque, alcun senso compiere oggi un'operazione di fatto punitiva del ceto medio: di coloro che hanno avuto una carriera dinamica (il che non è una colpa), che già sono sottoposti ad una tassazione progressiva in aggiunta a ricorrenti forme di prelievo solidaristico.
In realtà, quando Renzi-Boeri parlano delle coorti comprese tra i 55 e 65 anni, finiscono per portare l'Inps a farsi carico di una nuova infornata di prepensionamenti, in barba a quanto il governo intende compiere in materia di politiche attive. Né regge la proposta di introdurre nel sistema pensionistico maggiore flessibilità in uscita. Sembra l'uovo di Colombo, ma chi ci ha provato ha sempre fallito, perché una misura di tal fatta non solo è costosa per le casse pubbliche, ma è anche fortemente penalizzante per chi la sceglie. Renzi otterrebbe lo stesso risultato del Tfr in busta paga: talmente poco conveniente che è stato un flop, e meno dello 0,1% dei lavoratori ne ha fatto richiesta.
Semplice dilettantismo? Non siamo così ingenui. C'è qualcosa di più perverso nel gioco di Renzi sulle pensioni: alimenta la presunta grancassa dell'ingiustizia e dell'iniquità sociale. Foraggia l'inganno peggiore: far pagare padri e madri illudendo i figli.
Il calcolo cinico, se si vuole, di chi si aspetta un ritorno elettorale immediato; un'estensione del proprio consenso verso quei settori della società italiana che non si riesce a conquistare attraverso una politica di sviluppo. Concetto, questo dello sviluppo, che, al di là delle parole, non è presente nel dna del governo Renzi.
L'esito finale di questa partita dipenderà dai risultati delle elezioni regionali di oggi. Se la posizione del presidente del Consiglio dovesse uscire rafforzata, ecco allora che la proposta del presidente dell'Inps verrà immediatamente applicata: le risorse finanziarie che mancano all'esecutivo verranno trovate saccheggiando il grande forziere della spesa pensionistica. Di questi pericoli bisogna avere piena consapevolezza. I pensionati, considerati da premier e compagni i grandi ricchi del nostro paese, sono avvertiti. Votare per Renzi significa firmare una cambiale che sarà portata presto all'incasso.
Quanto a Boeri, da lui non ci aspettiamo proposte rivoluzionarie, cui dovrebbe pensare il ministro Poletti. Ci aspettiamo, invece, la gestione oculata di un carrozzone amministrativo, quello dell'Inps, che per le sole spese di funzionamento ci costa più di 4 miliardi all'anno. Ci aspettiamo che i suoi 33.000 dipendenti offrano il meglio della loro professionalità; che gli sportelli al pubblico non rimangano aperti solo dalle 8.30 alle 11.30, costringendo gli utenti, meglio chiamarli clienti, a pesanti corvée solo per parlare con un funzionario. E via dicendo. Se, al contrario, Boeri vuole avere un ruolo politico, allora si candidi alle prossime elezioni.
O chieda al presidente del Consiglio di essere cooptato come ministro in un eventuale rimpasto. Nel frattempo, però, la smetta di terrorizzare e criminalizzare la gente comune, che degli errori del governo non ha colpa alcuna.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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