L'atteso chiarimento del governo sul green pass, dopo le polemiche sui controlli, è arrivato in serata: non spetta ai ristoratori chiedere il documento ai clienti per accertare se sono effettivamente i titolari della certificazioni, lo dovranno fare solo in caso di «palese abuso o falsificazione» del pass. La circolare firmata dal capo di gabinetto del Viminale, Bruno Frattasi, chiarisce i dubbi sollevati intorno alla questione delle verifiche della certificazione verde, dopo che lunedì il ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese, aveva anticipato che non è compito dei titolari dei pubblici esercizi chiedere ai clienti l'esibizione della carta d'identità, lasciando aperta la porta a eventuali controlli a campione da parte della polizia. Nessun ristoratore-sceriffo, insomma, soltanto la possibilità per loro di chiedere un documento se la app VerificaC19 rileva qualche irregolarità. Lo stesso vale per concerti, partite di calcio o eventi strutturati, che prevedono la presenza di uno steward, a cui spetta il compito.
Si fa luce così sulla norma contenuta del dpcm del 17 giugno, che affida la verifica dei documenti di identità ai titolari delle strutture ricettive e dei pubblici esercizi e ai proprietari dei locali. Una norma che ieri ha avuto il via libera del Garante della privacy: gli esercenti possono accertare l'identità degli avventori. Rispondendo a un quesito della Regione Piemonte, che chiedeva di confermare che ai privati non possono essere attribuite funzioni tipiche dei pubblici ufficiali, l'Authority ha specificato che le figure autorizzate alla verifica dell'identità di chi esibisce il pass sono quelle indicate nel dpcm. E che non solo i pubblici ufficiali, ma anche i titolari delle attività di intrattenimento, delle strutture sanitarie e dei pubblici esercizi, possono appurare che i clienti siano in possesso della certificazione e la loro l'identità. È prevista infatti la regolamentazione degli specifici canali digitali funzionali alla lettura del green pass e «tra le garanzie previste dal decreto è compresa anche l'esclusione della raccolta, da parte dei soggetti verificatori, dei dati dell'intestatario della certificazione, in qualunque forma».
Chi inquadra il Qr code con la app del governo, unico strumento ritenuto idoneo dall'Authority, vede solamente nome e cognome di chi presenta il pass e una spunta verde in caso di validità (o rossa nel caso non sia valido o scaduto). Per questo, ha concluso il Garante, «è consentito il trattamento dei dati personali consistente nella verifica dell'identità dell'intestatario del green pass mediante la richiesta di esibizione di un documento». Il verificatore, dunque, ha facoltà di chiedere ai clienti di mostrare la carta di identità, ma non ha nessun obbligo di farlo.
Un tema che sta molto a cuore alle associazioni di commercianti e di esercenti, sin dal primo momento contrarie a vestire i panni di poliziotti. Ora non ci sono più dubbi: i controlli saranno fatti dagli agenti, a campione. I ristoratori non dovranno neanche più temere le sanzioni. In caso di green pass falsi non avranno alcuna responsabilità o ammenda, mentre a farne le spese sarà il cliente con una multa che va dai 400 ai 1.000 euro. In caso di clienti seduti al tavolo e sprovvisti di certificato, scatterà invece la sanzione per entrambi. Perché è «un vero e proprio obbligo» verificare il possesso del green pass dove prescritto.
Mentre - si legge nella circolare inviata a tutte le prefetture - «la verifica dell'identità del titolare del pass ha natura discrezionale». La procedura di verifica «dovrà in ogni caso essere svolta con modalità che tutelino la riservatezza della persona».
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