Ponte di Nanto è un paese della bassa vicentina. «L'inferno di Ponte di Nanto» è il titolo del libro che racconta la vicenda di Graziano Stacchio e Robertino Zancan. Quella sanguinosa rapina, la sera del 3 febbraio 2015, dove il benzinaio Stacchio imbracciò il fucile per proteggere la commessa della gioielleria di Zancan. Uno dei rapinatori, Albano Cassol, morì. Da lì il benzinaio finì sotto processo, il gioielliere non lo lasciò mai solo: le loro vite cambiarono e si legarono per sempre. Il fatto che il libro, poi, sia stato scritto da Paolo Citran, ispettore capo di polizia in servizio a Venezia, fa riflettere. Chi ha il coraggio o il dovere di difendersi e di difendere, è difeso poi dallo Stato? Stacchio nel libro accenna al coraggio. Il capitolo quindicesimo della prima parte (in tutto sono due) racconta l'episodio di quel maledetto Inferno di Ponte di Nanto e finisce così: «Quello che non sapevo era se sarei stato in grado di farlo». «Il coraggio è nato dalla disperazione - racconta ieri Stacchio a noi de Il Giornale - dall'angoscia per la ragazza la commessa ndr - Il coraggio è nato dall'autocontrollo e dalla rassegnazione, quando capisci che è l'unica cosa da fare. Quando non c'è più tempo, non c'è più spazio».
Un confine, oltrepassato il quale si può soltanto andare avanti. Ma a Stacchio di quel martedì sera è rimasto tutto. «Quando ti scontri con qualcuno che perde la vita - ci confida - la sensazione che hai dentro è indelebile, anche se questo è un criminale. Noi siamo diversi da loro. Zancan ne ha subite di tutti i colori e io in quel momento era come avessi un dovere. Come un padre verso una figlia». La rapina di quella sera è una delle tante che Zancan e la sua famiglia hanno sopportato. «Di quante rapine ho avuto - ci dice il gioielliere - ho perso il conto. Un mese prima, il sequestro di due mie dipendenti, per un bottino di un milione e 180 mila euro. Dieci anni fa fui rapinato in casa con mia moglie e i miei due figli, all'epoca di quattro e nove anni». Un episodio dove, in casa Zancan, cala il silenzio: fa male. Troppo male. «Mi hanno fatto inginocchiare per un'ora e mezza con una pistola puntata alla testa, davanti ai miei cari. Solo chi prova può capire. In quei momenti si gela il sangue, non senti le gambe, non capisci più niente. Una scarica di adrenalina che crea una miscela esplosiva. Parliamo di coraggio, perché bisogna reagire. All'inizio non volevo uscisse il libro, con la mia vita - oltre agli aspetti giudiziari, legali e psicologici, il testo racconta le vite del benzinaio e del gioielliere ndr ma se serve ad aiutare chi ha vissuto ciò e a cambiare l'articolo 52 sulla legittima difesa, allora pubblichiamolo». E infatti così è stato. Il libro, con la prefazione del procuratore aggiunto veneziano Carlo Nordio, è uscito quest'anno. Un euro e 50 del prezzo totale del libro, più i soldi degli indennizzi del processo (archiviato), vanno in un fondo di solidarietà. «Servirà ad aiutare - dice Zancan - le vittime dell'ingiustizia, io le chiamo così, anche se mi è stato proibito. Una persona aggredita in casa in questo modo, che ha il coraggio di difendersi e poi passa dei guai, voi come la chiamate se non vittima dell'ingiustizia?».
Un'ingiustizia che in molti casi viene commessa due volte. La prima dai banditi. La seconda dallo Stato.
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