L'annuncio del ministro Nordio di introdurre i test psico-attitudinali per gli aspiranti magistrati ha, inevitabilmente, riacceso le polemiche. Da un lato, la magistratura associata e parte della opposizione di governo sostengono che l'introduzione dei test in questione lederebbe la prerogativa del magistrato di poter svolgere il proprio lavoro in piena autonomia e indipendenza e senza alcun condizionamento esterno. Dall'altro, l'attuale maggioranza di governo, supportata da Azione e Italia Viva, ritiene, invece, che il tema degli errori giudiziari, a partire dalla vicenda Tortora, inevitabilmente imponga un effettivo controllo sulle modalità di svolgimento del lavoro del magistrato che, come ogni altro mestiere, non può essere sottratto al principio del «chi sbaglia paga».
Sullo sfondo il tema della politicizzazione della magistratura, che un recente sondaggio di Pagnoncelli sul Corriere della Sera afferma, oramai, essere avvertito da circa la metà degli italiani.
A partire dal 2007 e cioè dalla legge di riforma dell'ordinamento giudiziario, in realtà sono stati introdotti ben sette momenti in cui, ogni quattro anni, la progressione in carriera del magistrato viene sottoposta a verifica. Tuttavia, tale meccanismo non ha prodotto i frutti sperati se è vero che i controlli sulla professionalità dei magistrati sono risultati positivi nella quasi totalità dei casi: ciò a causa della organizzazione interna alla magistratura che essendo basata sul «correntismo» inevitabilmente si ispira ad una logica di protezione del proprio iscritto. Infatti, in prima battuta chiamati a svolgere i controlli sono i Consigli giudiziari composti da magistrati del distretto, nei quali gli esterni, cioè gli avvocati, non hanno alcuna voce in capitolo. A ciò si aggiunga che a partire dal ventottesimo anno di anzianità i controlli magicamente spariscono. Tradotto: dopo ventotto anni di attività nessuno è in grado di svolgere alcuna verifica sull'attività professionale di un magistrato.
Da qui la necessità di trovare dei meccanismi correttivi che l'introduzione delle pagelle, fortemente volute dall'allora ministro Marta Cartabia, evidentemente non può e non ha saputo risolvere. Sul punto, non possono passare inosservate le parole pronunciate da Nicola Gratteri, procuratore della Repubblica di Napoli, che ha avvertito come l'introduzione delle pagelle in sé contenga il rischio di eccessivamente burocratizzare il lavoro del magistrato trasformandolo in un impiegato con un atteggiamento remissivo.
La bontà di tale ragionamento non può però far perdere un altro punto di vista rappresentato dal fatto che il cittadino ha altrettanto diritto di pretendere che colui il quale amministra giustizia sia dotato di un elevato livello di professionalità tale da metterlo a riparo da possibili errori giudiziari.
La soluzione a queste due opposte visioni, che come sempre andrà ricercata individuando un giusto punto di equilibrio tra la necessità di rendere immune da condizionamenti esterni il lavoro del magistrato e l'esigenza di evitare che il vincitore del concorso da quel momento in poi sia libero di trasformare la sua attività in arbitrio, potrà essere risolta dai test psico-attitudinali per gli aspiranti magistrati?
È ovvio che se tale meccanismo viene introdotto sul presupposto che la categoria dei magistrati è composta da persone mentalmente disturbate ogni proposta di test psico-attitudinale diventa irricevibile perché si trasformerebbe in una denigrazione dell'intero corpo della magistratura.
Invece, a diverse conclusioni si potrebbe giungere laddove la comunità scientifica di riferimento fosse in grado di costruire griglie attendibili, atte a testare la specifica «idoneità psicoattitudinale» degli aspiranti magistrati, in relazione alle specifiche funzioni indicate nella domanda di ammissione considerando che si tratta di funzioni complesse perché coinvolgono ideali, motivazioni, passioni e interessi.
Ciò che ad esempio avviene anche in altri rami dell'amministrazione pubblica e che per tali ragioni, se costruito
in ottica rigorosamente scientifica, potrebbe essere un valido elemento per testare senza intenti punitivi coloro i quali intraprendono un mestiere così delicato, quello del magistrato, che incide sulla vita dei cittadini.
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