Chi pensava che qualche inchiesta a orologeria avrebbe potuto condizionare la campagna elettorale finora è rimasto deluso. Merito (o colpa...) della riforma del ministro della Giustizia Marta Cartabia, che ha di fatto ridimensionato le conferenze stampa show vietando la diffusione dei nomi degli arrestati, costringendo perfino Nicola Gratteri l'altro giorno a mordersi la lingua dopo la maxi operazione che ha portato a 202 arresti «di presunti innocenti», tra cui il sindaco di Rende Marcello Manna, presidente di Anci Calabria. La conferenza è stata convocata, annullata e ripristinata tra le doglianze dei cronisti: «La stampa è potente, ha potere, chiedete ai vostri editori di dire ai referenti politici di cambiare la legge - ha detto loro il pm antimafia, masticando amaro - Fino a quando non cambia la legge, io non intendo né essere indagato né essere sottoposto a procedimento disciplinare». Il procuratore di Catanzaro ufficialmente è in corsa per la Procura di Napoli, dopo che il procuratore Giovanni Melillo è stato nominato Procuratore nazionale antimafia. A decidere sarà il prossimo Csm, dopo le elezioni del 25 settembre.
Qualcuno in Calabria vede Gratteri già ministro della Giustizia in un ipotetico governo a guida Fratelli d'Italia. Tanto che ieri una parte del Pd si è scagliata contro di lui: «Io mi chiedo ha detto la deputata Pd Enza Bruno Bossio, in corsa nel collegio plurinominale della Camera in Calabria e che con Gratteri ha un conto aperto se il procuratore voglia seguire la legge o essere la legge. Perché, diciamolo, anche la mafia vuole essere la legge; mentre il Pd, che è contro le cosche, vuole difendere lo stato di diritto». Ieri intanto a Cernobbio la Guardasigilli ha sottolineato come l'iter della riforma che porta il suo nome sia ormai agli sgoccioli. «Sono molto soddisfatta - ha detto a Radio24 la Cartabia - manca solo l'ultimo passaggio per completare le riforme del processo civile e penale», ha spiegato, ricordando l'approvazione dei decreti legislativi di attuazione della delega tra fine luglio e inizio agosto «per dare alle commissioni parlamentari 60 giorni. Poi il Consiglio dei ministri potrà dare l'ok».
Ma la giustizia resta un vaso di Pandora. Lo dimostra lo scontro l'altro giorno tra l'ex magistrato Carlo Nordio, candidato nelle liste di Fratelli d'Italia, e i Cinque stelle. «Visto che la crisi è economica, basta agli sprechi che ci sono nel mondo della giustizia, a cominciare dalle intercettazioni telefoniche ambientali che costano duecento milioni di euro l'anno, con i quali si potrebbero assumere segretari e cancellieri per accelerare il corso dei processi. La lentezza della giustizia ci costa 30 miliardi, due punti percentuali di Pil all'anno», aveva detto Nordio. «Con questa ideona la destra fa l'occhiolino a mafie e delinquenti alla ricerca del loro sostegno», aveva replicato Mario Perantoni, presidente M5s della commissione Giustizia della Camera.
Il problema che Nordio solleva non è solo economico. Nei giorni scorsi Il Giornale ha lanciato l'allarme sulle troppe intercettazioni con captatore: «Con i trojan è stata fatta carne da macello e sono state violate innumerevoli norme processuali, che rendono tutt'altro che genuine quelle acquisizioni, che non potranno che essere dichiarate inutilizzabili», aveva detto al nostro quotidiano Gioacchino Genchi, per anni considerato (a torto) il grande orecchio delle Procure. Secondo l'esperto le nuove tecniche di intercettazione, trojan e captatori, catturano a strascico tutto ciò che ascoltano. Con il rischio di manipolare la verità.
Un allarme che, in base a un documento del Coparsir che il Giornale ha potuto consultare, avrebbe interessato anche l'organismo di controllo sui nostri servizi segreti, che lamenta poca
trasparenza negli affidamenti degli appalti da parte delle Procure, la necessità di salvaguardare «diritti fondamentali come la privacy» e «l'equilibrata armonizzazione delle tariffe con le quali sono remunerati i fornitori».
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