Una cosa è certa: alla sinistra non manca l'ambizione. Nessuno meglio di loro sarebbe capace di elaborare le teorie più astruse per sostenere tesi disarmanti. Come, ad esempio, nobilitare il terrorismo.
Ebbene sì. Per quanto possa sembrare difficile da credere, è quello che succede sulle frequenze di La 7, il megafono tv del progressismo radicale, quell'ideologia capace di difendere i condannati, che vorrebbe cancellare gli avversari politici e che non perde occasione per mostrarsi campionessa di doppia morale. Un mix esplosivo, che può creare situazioni kafkiane come quella andata in scena a In Onda, il programma condotto da David Parenzo e Concita De Gregorio, in cui, parlando del caso Morisi, della "Bestia" di Salvini e di odio politico, i padroni di casa possono decidere di accompagnarsi ad ospiti con fazzoletto rosso in tasca come la giornalista Marianna Aprile e il filosofo Umberto Galimberti, nel giorno del silenzio elettorale, per fare un processo senza contraddittorio alla Lega e al suo leader.
Con un approccio davvero incredibile. L'ex direttrice dell'Unità, pur di screditare Morisi e il suo operato, arriva a rivalutare le Brigate Rosse e gli Anni di Piombo: "Nel corpo a corpo, qualunque esso sia, si gioca ad armi pari, o impari dato che uno è armato ed uno no. Anche il terrorista che spara, anche se spara, rischia di morire. Non so come dire… è come una battaglia in cui i corpi si fronteggiano. L'aggressione che arriva dal web anonima è un po' come il drone, il gruppo non rischia niente…".
Sì, nelle azioni terroristiche i corpi si fronteggiano. Ma quelli di criminali armati fino ai denti contro quelli di innocenti, inermi e inconsapevoli. Una sfida davvero ad armi pari, che la De Gregorio ritiene più "onorevole" poiché il terrorista rischierebbe a sua volta di morire. Ma solo quando non è troppo impegnato a piazzare bombe qua e là azionate con rischiosissimi comandi a distanza o a lanciare ordigni umani manipolati psicologicamente contro i propri bersagli.
La tesi della De Gregorio, per la verità, rafforza solo l'assist fornito in prima battuta da Galimberti, che introduce l'argomento così: "Non giustifico gli anni Settanta, ma avevano una ideologia alle spalle e per quanto esecrabile avevano un supporto di pensiero, o qualcosa che ci somigliava". Il filosofo riscuote subito il plauso della Aprile: "Non per sminuire gli Anni di Piombo, ma lì si trattava di azioni criminali con un tempo e luogo definito, con degli autori che venivano perseguiti. Oggi questo apparente essere aleatorio dell'odio e della violenza nasconde una pervasività nel quotidiano difficile da incapsulare".
In questa surreale, irriguardosa, pericolosa apologia dell'eversione (ovviamente solo rossa), i protagonisti della discettazione dimenticano un paio di punti. In primis che Luca Morisi ha un nome e un cognome, non è quindi un pericoloso latitante costretto a mascherarsi per sfuggire alle catture, che non commette alcun tipo di reato se non quello di svolgere una professione che si basa sulla capacità di raggiungere un pubblico, quello social, spesso per nulla ortodosso. E deve ricorrere, pertanto, a metodi comunicativi dedicati. Un po' come quelli di chi parla al proprio share ultraideologizzato usando il terrorismo come modello di "confronto onorevole".
In secondo luogo che la sollevazione delle masse social contro il nemico politico non è prerogativa della sola Lega né è stata inventata dalla "Bestia" di Morisi.E c'è un'ultima questione, la più importante: che per condannare la presunta violenza (virtuale) con questo paragone deplorevole hanno nobilitato altra violenza (reale).
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