Cosa spinge Enrico Letta e Giuseppe Conte a premere sempre più sull'acceleratore? Dove vogliono arrivare? E soprattutto: cosa vogliono ottenere? Al netto delle assicurazioni sulla longevità del governo Draghi, dem e grillini non perdono mai occasione di destabilizzare la maggioranza. Le scorribande giallorosse sono all'ordine del giorno. E se in un momento tanto difficile vengono riproposti temi tanto divisivi come il ddl Zan e la cittadinanza facile agli immigrati significa che qualcuno sta cercando l'incidente o, ancora peggio, lo stallo. C'è infatti il rischio concreto che, anche se l'esecutivo dovesse tener botta, gli egoismi di pentastellati e piddini trascinino l'intero Paese in un pantano da campagna elettorale che, da qui all'anno prossimo, bloccherà qualsiasi riforma utile a sostenere l'economia.
Il fronte più caldo è sicuramente la politica estera del governo. Destituito il filorusso Vito Petrocelli e sventata la nomina di un altro filorusso alla commissione Esteri del Senato, il Movimento 5 Stelle si prepara a picconare nuovamente l'esecutivo sulla guerra in Ucraina. Dal momento che lo strumento dell'informativa del presidente del Consiglio non prevede alcun voto, gli uomini di Conte hanno già fatto sapere che intendono chiederne uno, non appena il calendario lo permetterà, sulla strategia dell'Italia per quel che riguarda sia l'invio di armi sia "la posizione da portare nei consessi internazionali".
È difficile ipotizzare che l'esecutivo possa inciampare in un'occasione simile, con un conflitto ancora aperto alle porte dell'Europa e soprattutto con una crisi economica che sta aggravando due anni di pandemia. Il rischio concreto è invece che servirà soltanto ad aumentare divisioni e tensioni che già infiammano la maggioranza. Davvero qualche grillino antiatlantista spera che alla fine Conte lascerà libertà di coscienza e il M5S potrà votare contro la linea del suo stesso governo? L'unico vero obiettivo dell'ex premier è riposizionarsi e cercare di raggranellare qualche voto in più.
È il classico clima da campagna elettorale. Ogni partito cerca di piantare le proprie bandierine per raggranellare un pugno di voti in più. E a farne le spese sono sempre gli italiani. Ne è l'esempio il voto sul decreto Aiuti che rischia di schiantarsi contro il "no" dei grillini che non vogliono il termovalorizzatore a Roma o le ultime crociate di Letta che, intervenendo alla prima tappa del tour "Le Agorà democratiche", ha ritirato in ballo il ddl Zan ("Saneremo la ferita") e lo ius soli ("Deve essere lo sforzo principale che abbiamo davanti"). Bandierine che servono a recuperare, nel caso dei Cinque Stelle, le battaglie ambientaliste del movimento degli albori e, nel caso del Pd, i consensi della sinistra più radicale a cui non va giù la linea pro Nato sposata dal partito. In entrambi i casi l'obiettivo è il 2023.
Le comunali di giugno sono un appuntamento che accidentalmente si pone sulla via che porta alle prossime politiche. È lì che guardano tutti i partiti.
Solo che i giallorossi sono pronti a tutto pur di raggranellare un punticino in più. Anche a trasformare per un anno il parlamento in un Vietnam e immobilizzare l'azione del governo senza nemmeno prendersi la responsabilità di farlo cadere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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