Cosa ci ha insegnato la battaglia sul ddl Zan

Chi esercita una responsabilità nei confronti di altre persone deve essere una solida quercia, non una canna di palude sbattuta dal vento degli interessi di parte: il prezzo di questo vento lo pagano sempre i più piccoli, i più poveri e i più svantaggiati, ai quali dovrete rendere conto

Cosa ci ha insegnato la battaglia sul ddl Zan

"Noi eravamo disponibili a togliere l’art. 1 e l’art 4", dichiara il senatore Zan (link estratto intervento). Allora il problema qual è? La voglia di stravincere spaccando che ha preso il sopravvento? Ma la garanzia dei diritti civili da sempre richiede un alto senso civico: la voglia di vincere con, cioè convincere.

Ascoltando le dichiarazioni del senatore Zan (06/11/21 Porta a Porta) “L’art. 1 e l’art. 4 non potevano essere tolti, non cambiavamo nulla della legge”, vorrei condividere con tutti, ma in particolare con i nostri giovani, alcune considerazioni che reputo importanti per il bene della nostra società. Anzitutto, esprimo un sentimento di gratitudine per il giornalista, per il servizio, ma anche per il sen. Zan che, con onestà intellettuale, arriva (obtorto collo) a riconoscere pubblicamente che, in fondo, quegli articoli 1 e 4, così divisivi, “potevano essere tolti”. Vale la pena di ricordare che il testo dei due articoli era altamente divisivo: il primo rischiava di creare una sorta di confusione socio-giuridica, il secondo ingenerava il rischio di comprimere la libertà di espressione, pilastro di ogni democrazia. Aggiungo, visto che siamo in argomento di modifiche, che un altro articolo da rivedere sarebbe stato l’art. 7 che andava a contrastare la libertà di insegnamento e di scelta educativa che è in capo ai genitori. Finalmente viene reso omaggio alla verità che i cittadini come le Istituzioni devono sempre servire: è il nostro dovere principale, se vogliamo davvero dare un contributo positivo alla società.

Ho provato altresì un senso di profondo dispiacere, perché ho ripensato alle ore impiegate nelle aule parlamentari, nelle commissioni, nei talk show, ai diversi contributi sulla stampa, ai confronti con i cittadini e le forze politiche, tempo speso per dimostrare l’ovvietà di questa asserzione: una legge che nasce per contrastare qualsiasi discriminazione non può a sua volta limitare altre libertà. Tempo impiegato anche in contrapposizioni a causa delle quali tanta (troppa) gente ha sofferto. Un tempo, sempre così scarso di fronte a tutti i bisogni, che è stato sottratto al bene che avremmo potuto fare e il mondo ci domanda.

In un certo senso, mi sono anche sentita tradita. Come dire? Il sen. Zan aveva dichiarato, a seguito della mancata approvazione del ddl, che l’Italia è un Paese arretrato: lo stesso senatore afferma ora che due articoli chiave potevano benissimo essere eliminati. Fossi stata un sostenitore del ddl mi sarei sentita doppiamente tradita. Per chi dice e disdice, calpestando il principio di non contraddizione, tutto è possibile. Ma Aristotele lo definirebbe “un tronco”. Ancora: qualora il ddl fosse stato approvato, mi chiedo come il sen. Zan avrebbe potuto vivere il proprio ruolo e, oserei dire, la sua stessa umanità, nella consapevolezza di aver dato vita ad una legge dal testo imperfetto, per sua stessa ammissione ex post. A rigor di logica, il primo ad esultare per la mancata approvazione dovrebbe essere proprio lui, il promotore. La contraddizione è lampante.

Davanti a tutto questo, sperimento anche una paura che è sana, quando ci permette di sottrarci o di scongiurare un pericolo. È la forza che ho riconosciuto vincente dopo aver preso visione di questo servizio. È una paura “salutare” che riguarda ciascuno di noi che ha ruoli di responsabilità civile, quotidiana; ciascuno di noi, nel proprio piccolo ha ruoli di responsabilità, a prescindere dall’attività che svolge. Quando nel nostro lavoro dimentichiamo che siamo responsabili dell’altro, di una società più giusta e più equa, rischiamo - anche nelle proposte di legge, che almeno nelle intenzioni vogliono contrastare la discriminazione – di farci obnubilare la mente dal super io, dall’ideologia, dall’egoismo che comunque è sempre in agguato, dalla voglia di strafare e di stravincere.

Avverto che in questo momento il covid ci ha talmente feriti, ci ha talmente colpiti, ci ha talmente fatto del male che deve rimanere evidente e chiaro a tutti che, oltre alla testimonianza di un governo di unità nazionale, impegnato a traghettare l’Italia fuori dalla crisi, ciascuno di noi, cittadino, politico, rappresentante del mondo laico e non, istituzionale e sociale, ha una responsabilità enorme verso i cittadini: favorire la costruzione di una polis nella quale ciascuno offre il suo contributo, nel senso della solidarietà e dell’impegno civile.

Affinché ciò avvenga, non è più possibile accettare la voglia di confondere, per affermare delle battaglie tutte personali. On. Senatore, se il ddl fosse stato approvato, con quale coraggio avrebbe guardato in faccia gli italiani, soprattutto quelli che il ddl si prefiggeva di tutelare? Non è più il tempo delle divisioni, non ci è permesso. Quando si è impegnati da anni in battaglie civili, arriva il momento in cui occorre riconfermare a se stessi la genuinità dell’impegno, la libertà reale nel servire una causa, la ricerca sincera del bene del più piccolo, del più fragile, contro ogni strumentalizzazione, in una estrema coerenza con se stessi, con o senza telecamere accese. I giovani non sono solo il presente, ma il futuro di una nazione. Chi esercita una responsabilità nei confronti di altre persone deve essere una solida quercia, non una canna di palude sbattuta dal vento degli interessi di parte: il prezzo di questo vento lo pagano sempre i più piccoli, i più poveri e i più svantaggiati, ai quali dovrete rendere conto. Chi ha responsabilità non la deve esercitare per se stesso, ma per i cittadini.

Ecco che cosa ho imparato da queste dichiarazioni del sen. Zan. Ora però un appello finale: la politica in queste ore, mentre è impegnata nelle grosse riforme – Sanità, Scuola, Giustizia – è doverosamente richiamata a superare gli ostacoli senza volersene servire. Non è più il tempo delle sterili e puerili contrapposizioni, perché la legge di Bilancio urge e noi dobbiamo rimanere concentrati su che cosa questa legge deve produrre per una società che deve rialzarsi. Per quanto mi concerne, continuo a credere che la scuola sia l’unica chance per i cittadini, non solo per i più giovani, ma per coloro che da questi ultimi saranno sostenuti in futuro. La scuola è l’unica realtà che offre gli strumenti per orientarsi, per comprendere, per non essere ingannati, nel mare magnum dell’ideologia, dell’idiozia culturale e dei personalismi, tre piaghe che hanno sempre interessato l’umanità fin dalle origini.

Avvertiamo il bisogno di una scuola che non sia intesa come luogo dell’ideologia, bensì come luogo del rispetto delle posizioni di ciascuno. Quando si assiste a delle retromarce simili di fronte a dichiarazioni in cui veniva affermato che certi articoli erano inattaccabili, insindacabili per poter contrastare ogni discriminazione, noi dobbiamo uscire dal sentimento di frustrazione provocato dal danno oltre la beffa e reagire lavorando per una Scuola che offra contenuti e formazione adeguati, così da permettere ai nostri giovani di orientarsi, coerenti con se stessi, nell’oceano dell’ignoranza e della stupidità che spesso annebbiano le menti degli uomini.

Non condivido la tua idea, ma darei la vita perché tu la possa esprimere”. Questa frase, erroneamente attribuita a Voltaire, indica la strada, ancora lunga, da percorrere. Ma ovviamente l’idea deve esserci, senza contraddizione. Altrimenti si è muti.

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