"Non trascuriamo il Coronavirus. In Italia si assumono troppi farmaci"

"Il Covid non è un problema che dobbiamo trascurare come se tutto fosse passato, finito"

"Non trascuriamo il Coronavirus. In Italia si assumono troppi farmaci"
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«Il Covid non è un problema che dobbiamo trascurare come se tutto fosse passato, finito. È in giro molto di più di quanto non si registri dai numeri dei tamponi positivi. Non possiamo sapere cosa succederà, potrebbero arrivare delle varianti che non sono sensibili al vaccino». Silvio Garattini ci accoglie con un sorriso nel suo ufficio all'Istituto Mario Negri. Novantacinque anni freschi freschi, di cui 75 passati a fare ricerca. Ci mostra le due braccia («ho fatto la vaccinazione qualche giorno fa, da una parte l'antinfluenzale, dall'altra braccio il richiamo anti Covid»). In questa Italia anti scientista, tentata dalle facili semplificazioni No Vax, Garattini si candida a testimonial. «La scienza è l'unico modo attraverso cui possiamo in qualche modo rispondere alle incertezze. È fatta da uomini, può sbagliare ma non è valida se i risultati non sono verificati da altri risultati».

Come per l'efficacia dei farmaci?

«Certo. La dimostrazione dell'efficacia di un farmaco non ha nessun valore se non è con validata almeno da un altro studio. Il metodo scientifico è una necessità assoluta».

Al Negri lavorano 750 persone tra Milano e Bergamo. A cosa state lavorando?

«Stiamo studiando l'arresto cardiaco, abbiamo trovato che un gas chiamato argon è in grado di proteggere il cervello perché impedisce la produzione di metaboliti tossici. Il secondo tema è il trauma cranico. Sappiamo che nel cervello continuano dei processi nel tempo e si formano sostanze che modificano il cervello passando da un encefalo all'altro e che le cellule staminali adulte possono proteggere il nostro cervello da questi eventi successivi al trauma. E poi stiamo studiando le acque reflue e fognarie. Grazie ai nostri campioni sappiamo per certo che il Covid era presente già a novembre del 2019. E che è in aumento l'uso di droghe».

E poi la lotta ai tumori...

«Abbiamo sviluppato una tecnologia per vedere dove va a finire il medicinale antitumorale. E questo è molto importante per aumentare la penetrazione del farmaco».

E a che punto siete sulle malattie degenerative?

«Studiamo sclerosi laterale amiotrofica, ma anche Alzheimer e demenza senile, per cercare di individuare dei farmaci per combatterla. Ma senza brevettarli, noi vogliamo che la ricerca sia a disposizione di tutti».

L'immortalità è un traguardo o un'illusione?

«Tra le cose sicure al 100% c'è la morte. Non si esce vivi della vita. Ma si può lavorare molto sulla prevenzione».

Ci sono troppi farmaci inutili in circolazione?

«La legislazione europea dice che perché si approvi un nuovo farmaco servono tre caratteristiche: qualità, efficacia e sicurezza. Che sono importanti. Però non ci dicono se il nuovo farmaco è meglio o peggio di quelli che già esistono. Se un farmaco è migliore degli altri, gli altri sono inutili. Ma questo non fa comodo all'industria e al profitto».

Lei ha scritto un libro che si intitola «Una medicina che penalizza le donne»...

«La donne sono obbligate a prendere farmaci studiati per i maschi. Dovremmo cercare di fare due protocolli per lo stesso farmaco, ci sono tanti aspetti diversi, come il metabolismo».

Pensa che il mercato condizioni la scienza?

«La legge del mercato ci ha fatto dimenticare una parola molto importante. La pre-ven-zio-ne, perché è in conflitto di interessi con il mercato. Ma per fare prevenzione abbiamo bisogno di una grande rivoluzione culturale, innanzitutto nelle scuole, ma servono dirigenti preparati per farla. Basterebbe anche solo un'ora alla settimana nelle scuole. Ci vogliono anni, certo, ma se non cominciamo mai riusciremo».

Fine vita. Lei fa parte del Comitato nazionale di Bioetica...

«Purtroppo sul tema si fa molta confusione. Posso dirle una cosa: da vent'anni sono presidente di un hospice ad Aviano. In questi vent'anni sono morte circa 3mila persone e mai una che abbia chiesto di morire. È ben organizzato, pieno di volontari che si danno da fare, e la grande attenzione elimina il desiderio di non voler vivere. Purtroppo in Italia abbiamo poche attività di questo genere».

Torniamo alla pandemia. Sono stati fatti degli errori?

«Penso che sia un errore non predisporre dei sistemi che ci consentano di affrontare nuove possibili pandemie.

Abbiamo un esercito, carri armati, corazzate e aerei che non vengono utilizzati ma che sono lì perché potremmo benissimo essere aggrediti. Mi sembra strano che non lo si faccia anche per quanto riguarda le epidemie. Stiamo sbagliando a non prepararci».

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