È la settimana decisiva per la verità sul Covid. Oggi il Parlamento darà il via libera alla commissione d'inchiesta, come promesso da Alice Buonguerrieri (Fdi), relatrice in commissione Affari Sociali della Camera. «Farà chiarezza sulle zone d'ombra, lo dobbiamo alle vittime e alle famiglie», dicono i meloniani come Galeazzo Bignami, uno dei pochi che in campagna elettorale si era impegnato per costituirla.
Visto che il processo penale e quello civile rischiano di schiantarsi - e presto vedremo perché - il ruolo della commissione sarà quello di riscrivere una verità storica il più accurata possibile. Pd e M5s minacciano l'Aventino dopo che i loro emendamenti sono stati bocciati. «Non potrà indagare su quanto fatto dalle Regioni, competenti sulla sanità», è il loro mantra.
Una suggestione che non sta in piedi, almeno sbirciando alcune carte depositate dal Pirellone nella causa civile per risarcimento danni a governo e Regione Lombardia intentata dai legali dei familiari delle vittime della Bergamasca, che invano hanno chiesto la secretazione degli atti. Mercoledì le famiglie si vedranno al Tribunale di Roma ma l'udienza è già slittata, a quanto risulta al Giornale, dunque non si esclude un flash mob. Difficile però che il processo - neanche incardinato - porti qualche risultato.
I motivi di una causa civile sono fondati, vista la gestione caotica della pandemia, da parte del governo giallorosso, i cui rilievi penali sono oggetto delle 2.600 pagine di chiusura indagine della Procura di Bergamo, che contesta a Palazzo Chigi la morte di 4mila persone per la mancata attivazione e il mancato aggiornamento del piano pandemico (fermo al 2006 ma applicabile) e la mancata Zona rossa nella Bergamasca.
E perché la causa civile si è incartata? Molti i motivi «tecnici», tra cui una errata notifica al Pirellone. Le richieste di risarcimento avanzate sono generiche, da massimale, e non specificate caso per caso. Alcuni aderenti sono deceduti nella seconda e nella terza ondata e non sono neppure residenti in Lombardia. Se anche un solo interventore non ha diritto, il rischio flop ricade su tutti.
Sfogliando alcuni documenti delle società assicurative di Regione Lombardia di cui il Giornale è venuto in possesso si capisce perché mancherebbe la prova del «nesso eziologico» tra la mancata chiusura della Zona rossa (di competenza del governo, come dicono i pm di Bergamo) e le morti di alcuni ricorrenti. È la task force istituita il 22 gennaio 2020 dal ministero della Sanità a «scagionare» il governatore Attilio Fontana su preparedness, mascherine e misure di sorveglianza («sono idonee», dissero allora gli esperti), per cui è impossibile stabilire con certezza che un eventuale comportamento alternativo avrebbe evitato le morti dei parenti degli aderenti.
Ma l'aiutino più clamoroso al Pirellone arriva direttamente da uno dei consulenti chiave dei familiari delle vittime, il generale Paolo Lunelli. In una mail datata maggio 2020 l'esperto di sicurezza si offre a un dirigente della sanità lombarda: «So che sei sotto indagine ma le responsabilità sono tutte al centro, non in periferia». Ma come faceva il consulente a sapere i nomi di chi era sotto indagine dei pm di Bergamo per epidemia colposa e omicidio colposo?
Anche questa inchiesta rischia di incartarsi. Nei giorni scorsi il Tribunale dei ministri di Brescia ha interrogato assieme ai loro legali Giuseppe Conte e Roberto Speranza. Da quel che trapela, difficile che si chieda alla Camera l'autorizzazione a procedere contro i due. Diversamente, sarà comunque difficile che le Camere la concedano.
Questo significherebbe mettere la parola fine a un'inchiesta durata tre anni e ridicolizzata da una fuga di notizie.
Ma che punto è l'indagine aperta subito dal Procuratore capo Antonio Chiappani? C'entra qualcosa la lettera di Lunelli? «Non so dirle se quel manager fosse già indagato, non ero ancora a Bergamo - dice il magistrato al Giornale - sulla fuga di notizie sto aspettando esiti accertamenti. Non le posso riferire di più».
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