Mezz'ora, non di più. Pochi punti di programma, tre, ma chiari e nel solco del mandato che gli ha affidato Sergio Mattarella: lotta al Covid, vaccinazioni a tappeto, riscrittura del piano di sviluppo per ottenere il Recovery Fund. Poi, certo, quei 209 miliardi vanno spesi bene e non buttati come al solito nel pozzo nero dell'assistenzialismo, devono «produrre occupazione» e non sussidi. Serviranno perciò uno sfoltimento della burocrazia e un pacchetto di investimenti per scuola, ricerca, digitalizzazione, green economy, grandi opere sostenibili. Insomma, dirà Mario Draghi, fatemi lavorare perché c'è un Paese da mettere in sicurezza e da rilanciare.
Oggi al Senato il premier parlerà poco e domani forse per niente: a quanto pare non rileggerà il discorso alla Camera e si limiterà a consegnarlo. Parlano invece, parecchio, i leader della maggioranza amplissima, da record, che lo sosterranno. Matteo Salvini, nella sua doppia versione «di lotta e di governo», è tra i più attivi anche se, dopo una telefonata con Draghi, ha cambiato un po'registro e, addirittura, ha difeso Roberto Speranza. Del resto non tace nemmeno Nicola Zingaretti, che prova a marcare il territorio, per non parlare dell'agitazione di Forza Italia, la scissione dell'atomo in Leu e la crisi di nervi dei Cinque Stelle. Già è difficile la coabitazione forzata tra centrodestra e centrosinistra, se poi aggiungiamo la lontananza tra politici e tecnici, si fa dura. Si moltiplicano quindi vertici segreti e contatti riservati tra vecchi nemici. Si fa persino strada l'idea di un tavolo di consultazione permanente tra i segretari, il tutto nell'indifferenza silente di Supermario.
Se è irritato, non lo va vedere. Stamattina però quando alle dieci spunterà a Palazzo Madama, ripeterà l'appello all'unità. L'alleanza sarà pure scomoda, contro natura, potenzialmente esplosiva, ma al momento, come ha detto il capo dello Stato, è l'unica possibile in questa condizione di emergenza. Senza concordia, senza «mettere di lato gli interessi di parte e perseguire quello nazionale», sarà impossibile contrastare il virus e superare la crisi economica. Occorre quindi «uno sforzo comune» nel quadro di un ancoraggio europeo e atlantico.
Un programma con poche promesse annunciate e un grande obbiettivo non dichiarato, la modernizzazione del Paese: forse resterà un sogno, questa però è l'occasione giusta. Intanto bisogna guidare l'Italia attraverso i suoi guai quotidiani. Il Covid è il più grave e pesante. Nel suo discorso Draghi si affiderà alla collaborazione con l'Europa e alla scienza, magari nei prossimi giorni cercherà più uniformità di indirizzo e meno esternazioni di esperti, tipo Ricciardi. Quanto al commissario Arcuri, il suo contratto scade a fine marzo: c'è tempo per decidere, si prevede comunque un ridimensionamento. Poi l'emergenza economica. Nell'agenda del premier l'accesso al Recovery va accompagnato a tre riforme «cruciali». La prima è il fisco, e si pensa a rimodulare le aliquote progressive tentando di recuperare l'evasione. La seconda è la giustizia civile: quanti cantieri rimangono bloccati per i tempi da lumaca dei nostri tribunali, quanti investimenti esteri perdiamo ogni anno per l'incertezza del giudizio? Infine la pubblica amministrazione, la grande malata: per realizzare un'infrastruttura ci vogliono in media 15 anni.
Il voto di fiducia è previsto attorno alle 22: tra FdI e dissidenti grillini, i no dovrebbero essere una quarantina. Mancherà Giorgio Napolitano.
«Non potrò essere in Aula, ma sostengo la scelta di Mattarella. Draghi gestirà al meglio la lotta alla pandemia». Domani tocca alla Camera. E venerdì il debutto sulla scena internazionale, alla videoconferenza dei leader del G7. «Where is Mario?».
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