"Una cricca internazionale". Quindici mesi per dipanare la matassa di D'Alema & C.

Una cricca internazionale, attiva sui due lati dell'Atlantico, con l'unico obiettivo di fare soldi trafficando in armi

"Una cricca internazionale". Quindici mesi per dipanare la matassa di D'Alema & C.
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Una cricca internazionale, attiva sui due lati dell'Atlantico, con l'unico obiettivo di fare soldi trafficando in armi: così le sette pagine di avviso di garanzia spiccato martedì mattina dalla procura della Repubblica di Napoli raccontano il gruppo che ruotava intorno all'ex presidente del Consiglio Massimo D'Alema, ora indagato per corruzione internazionale insieme all'ex amministratore delegato di Leonardo Alessandro Profumo e ad altre sei persone. Un gruppo che aveva in D'Alema, nel suo patrimonio di relazioni accumulato nelle vesti di leader di partito e di capo del governo, il proprio asso nella manica.

Ricostruire quanto accaduto, raccontano gli inquirenti, è stato un lavoro complicato. I quindici mesi passati tra le prime notizie di stampa e il blitz dell'altro ieri si spiegano soprattutto con la difficoltà di ricostruire la rete di appoggi di cui il gruppo godeva in Colombia, nei piani più alti della politica, ai quali era destinata una «stecca» di quaranta milioni di euro. L'operazione, scrivono i magistrati, alla fine salta solo perché italiani e colombiani litigano sulla spartizione della tangente. Anche il fallimento dell'operazione, rimasta sulla carta, ha fatto sì che gli inquirenti napoletani non intervenissero più pesantemente chiedendo l'arresto dei protagonisti.

I documenti-base sono le due relazioni della Digos di Napoli trasmesse in Procura il 29 settembre e il 28 novembre scorsi. «Dalle indagini della Digos - scrivono i pm Vincenzo Piscitelli e Silvio Pavia - è emerso che i soggetti indagati si sono a vario titolo adoperati quali promotori dell'iniziativa economica commerciale di vendita al governo della Colombia di prodotti delle aziende italiane a partecipazione pubblica Leonardo (in particolare aerei M 346) e Fincantieri (in particolare corvette, piccoli sommergibili e allestimento cantieri navali)». I due italiani che agivano come consulenti del Ministero degli esteri colombiano, Francesco Amato ed Emanuele Caruso «tramite Mazzotta Giancarlo riuscivano ad avere contatti con Massimo D'Alema il quale per il curriculum di incarichi anche di rilievo internazionale rivestiti nel tempo (presidente del Consiglio ed ex ministro degli Esteri) si poneva quale mediatore informale con i vertici delle società italiane». Per raggiungere l'accordo «offrivano e comunque promettevano ad altre persone (...) presso le autorità politiche, amministrative e militari della Colombia (tra le quali finora individuati: Edgardo Fierro Flores, capo del gruppo di lavoro per la presentazione di opportunità in Colombia, Marta Lucia Ramirez quale ministro degli esteri e vicepresidente della Colombia, German Monroy Ramirez e Francisco Joya Preto quali delegati della II commissione del Senato della Colombia e altri in corso di identificazione il corrispettivo illecito della somma di 40 milioni di euro, corrispondenti al 50 per cento della complessiva provvigione di 80 milioni di euro determinata nella misura del 2 per cento del complessivo valore di quattro miliardi di euro delle due commesse in gioco e da corrispondersi in modo occulto». L'operazione era in stato così avanzato che la cricca, si legge nel decreto di perquisizione, aveva già preparato «veicoli societari, bancari e finanziari per il transito e la ripartizione di detta somma», poi l'operazione si blocca «in seguito alla mancata intesa sulla ulteriore distribuzione della predetta somma tra le persone costituenti la parte italiana e la parte colombiana».

Massimo D'Alema, intervistato da Repubblica all'epoca delle prime notizie sul suo ruolo di faccendiere con la Colombia, aveva sottolineato di agire come «privato cittadino», non avendo più cariche parlamentari.

Proprio la mancanza di qualunque immunità ha fatto sì che l'ex premier sia stato trattato senza riguardi: alla Digos i pubblici ministeri hanno ordinato di perquisirlo anche personalmente, di farsi consegnare il suo telefono per analizzarne tutti i dati, e di prelevare tutti i dati contenuti nei computer della fondazione Italianieuropei. Anche, se necessario, sfondando la porta. Non ce n'è stato bisogno.

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