Se come sembra la giustizia sarà il campo di battaglia per le Europee, è il Csm la trincea più esposta. I cannoneggiamenti di Anm, Pd e toghe rosse contro una riforma della quale non esiste ancora un testo sono già iniziati. Ma per il centrodestra rischia invece di essere fatale il fuoco amico.
La consiliatura presieduta dall'avvocato Fabio Pinelli, benvoluto da Lega Nord, Matteo Renzi e Luciano Violante non ha ancora risposto in pieno alle aspettative. Se sul fronte dello smaltimento dell'arretrato il segnale c'è (e si è visto, vedi le maldestre accuse di fancazzismo e collateralismo riversate contro l'ex vicepresidente David Ermini), la rottura di protocolli e prassi come l'imporre il proprio voto, spaccando il Consiglio, qualche problema l'ha creato.
Sembrava che la congiunzione astrale nel Paese - centrodestra al governo, presidente non di sinistra, credibilità delle toghe ai minimi storici dopo i miasmi legati alla cacciata (e alle successive rivelazioni) di Luca Palamara - potesse essere il momento ideale perché la magistratura ideologizzata e militante venisse ricacciata nella sua irrilevanza, tanto è minoranza dentro la magistratura quanto negli assetti politici.
E invece l'inciucio tra toghe rosse e moderate si è materializzato. Nell'ex Palazzo de' Marescialli, da qualche settimana intitolato al giurista ucciso dalle Br Vittorio Bachelet, a muoversi sono i colonnelli. Se Md promette «di voler combattere il carrierismo e il clientelismo», proprio per tracciare una discontinuità con i magheggi elettorali dei suoi nelle precedenti consiliature, sulla carta gli unici indipendenti sono Andrea Mirenda (eletto col ripescaggio) e il pm milanese Roberto Fontana, storico militante col cuore diviso tra Area e Md. I sei esponenti di Area si muovono all'unisono. La corrente di centrosinistra sembra aver stretto un accordo-tenaglia con i centristi di Unicost, orfani di Palamara che continuano, a seconda delle necessità, a giocare su più tavoli. Di contro, stavolta toccava a Magistratura indipendente dare le carte: i togati più moderati e liberali, che sulla rinascita della magistratura avevano costruito la loro vittoria dentro la categoria con quasi il 24% dei voti e otto consiglieri, avevano ampie praterie per ricacciare i fantasmi della contrapposizione toghe-politica nelle arene televisive e sui giornali, così come la promessa di restituire centralità al merito nella dadolata di nomine, a costo appunto di far pesare i voti di Pinelli (come è successo più di una volta).
Una volontà foriera di contraccolpi e incidenti di percorso, con i consiglieri che si sono sentiti scavalcati, facendo irritare - in più circostanze - il Quirinale, che ha bacchettato i consiglieri invitandoli a svolgere il loro mandato «senza preoccuparsi di ricercare consenso per sé o per altri soggetti». Come la nomina quasi all'unanimità di Roberto Mucci come consigliere giuridico di Pinelli, nuovo segretario generale dell'organo di autogoverno delle toghe («Colui che tutto vede e tutto sa», dicono i consiglieri), votato da tutti tranne dal procuratore generale della Cassazione, Luigi Salvato, che fra poco meno di un anno lascerà il suo posto e bacchettata dal Tar, così come per la nomina di Alfredo Pompeo Viola a procuratore aggiunto in Cassazione. Il pizzino del Colle aveva un indirizzo preciso: «La composizione delle diversità non si realizza ricorrendo a logiche di scambio, che assicurano l'interesse di singoli o di gruppi», ha tuonato Mattarella lo scorso 17 aprile durante il battesimo di Palazzo Bachelet. «Sia chiaro a tutti, un metodo del genere rappresenterebbe la negazione del pluralismo».
Anche il cerchio magico del ministro della Giustizia ha giocato la sua partita, sparigliando più volte le intese faticosamente raggiunte pur di dimostrare muscolarmente un peso e un'influenza di fronte a un ministro incerto sul come muoversi tra i due mondi ma che a molti ha fatto storcere il naso. Un'influenza diventata determinante dopo l'addio del capo di gabinetto di via Arenula Alberto Rizzo, l'ex presidente del tribunale di Vicenza tornato in magistratura. «Attenzione, non c'è una singola figura che si muove, come faceva un tempo Palamara. Ma l'accordo di fondo con Area serve per non far restare Unicost fuori dagli accordi», ci dice un ex consigliere che conosce bene le manovre di palazzo.
Quali accordi? «La nomina di Stefano Musolino, coraggioso pm calabrese antimafia da poco nominato con merito sostituto a Reggio Calabria. Ma anche la promozione del pm Luca Tescaroli spedito un paio di mesi fa da Firenze a Prato come procuratore capo», ci conferma un esponente di Unicost che preferisce l'anonimato. Assieme a Luca Turco (a un passo dalla pensione) da anni insegue il fantasma del presunto accordo Stato-mafia che avrebbero sottoscritto Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri, smentito dalla Storia e da una selva di sentenze. Financo la nomina dell'aggiunto Gabriele Mazzotta di Area come nuovo avvocato generale della Cassazione (mentre in pole sembrava Giulio Romano, magistrato dell'ufficio del Massimario in Cassazione vicino a Mi) è sembrato un aiutino doppio, alle correnti di sinistra ma anche al nuovo procuratore capo di Firenze Filippo Spiezia, vicepresidente dal 2017 di Eurojust. «Nessun accordo con la sinistra su Spiezia - precisa al Giornale una fonte vicina a Mi - il suo curriculum come pm antimafia e antiterrorismo era invidiabile rispetto al suo competitor Ettore Squillace Greco di Md, che arrivava da una Procura piccina come Livorno» e che è stato sconfitto grazie al voto di Pinelli, determinante anche per la nomina di Concettina Epifanio alla guida del tribunale di Palmi. «Liberare la Procura di Firenze da tutti è sembrato anche un favore a Matteo Renzi», maligna una fonte vicina a Unicost.
Un accostamento improprio messo nero su bianco dal Foglio che ha suscitato le ire di Spiezia, passato alle vie legali. Un altro problema per Pinelli, un'altra grana per Quirinale e via Arenula. «Che troppo spesso fa rima con Area», malignano nei corridoi del ministero.(1. continua)
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