
Il capo d'imputazione è un'offesa alla dignità della donna: insulti, parolacce, umiliazioni, vessazioni continue, di giorno e nel cuore della notte. Con scene incredibili: sveglie notturne, lancio degli oggetti personali sul pianerottolo, sequestro del telefonino. Ma si resta allibiti quando si scopre che lui è un magistrato, così come la moglie, oggi giudice in una città dell'Italia centrale, e per anni e anni vittima delle sadiche accensioni di rancore del marito.
Nei mesi scorsi questa storia arriva finalmente al Csm e la Sezione disciplinare, dopo laboriosa discussione, decide per l'uomo la più grave delle sanzioni, l'espulsione dalla magistratura. Un verdetto duro, certamente più pesante rispetto alle richieste dell'accusa: la Procura generale della Cassazione aveva proposto la perdita di anzianità di un anno. Una misura assai più blanda di quella decisa infine dal collegio.
D'altra parte è arduo pensare che un soggetto del genere possa continuare ad indossare la toga, svolgendo addirittura il ruolo di pm in una città della Sicilia.
Ed è proprio dalla Sicilia e dalla Calabria che rimbalza questa vicenda, forse senza precedenti. La moglie sopporta per lungo tempo questi comportamenti inaccettabili, poi non ce la fa più e lo denuncia. Il processo di primo grado, per maltrattamenti, si svolge al tribunale di Catanzaro e mette in fila episodi sbalorditivi, più di una volta avvenuti in presenza dei figli della coppia: «La umiliava, disprezzava, denigrava, con offese del tipo str..., put..., non sai fare niente, obbligandola a mettere in ordine e pulire, finanche con le mani ogni qualvolta notasse delle briciole per casa, arrivando a svegliarla di soprassalto, tirandola per i capelli affinché passasse l'aspirapolvere nel cuore della notte».
Una successione penosa e incommentabile di angherie, negate con veemenza dall'imputato, ma confermate da una serie di testimoni. Il 6 marzo 2013, ad esempio, la porta via di forza, spintonandola, dalla sala in cui sta cominciando una conferenza cui lei dovrebbe partecipare come relatrice. Ancora, nel catalogo delle mortificazioni, ecco «i vestiti ridotti a brandelli con una forbice per dispetto», e poi gli oggetti sparpagliati sul pianerottolo. Miserie, insomma, e ancora miserie in una situazione di squilibrio e disagio descritta per esteso anche dalla figlia più grande, scappata più volte a casa della nonna materna per sfuggire all'ira incontrollabile del genitore.
Scenate di gelosia, in pubblico e in privato, con squarci di follia nella camera da letto: la svegliava, mentre riposava, «afferrandola per le caviglie, rovesciandole addosso dell'acqua, trascinandola a terra e gettandole addosso il materasso». Alla fine il pm viene condannato a una pena tutto sommato modesta: 1 anno di carcere, con la condizionale. Insomma, il tribunale gli infligge una sanzione soft. E gli concede un robusto sconto, per la scelta del rito abbreviato, oltre alle attenuanti generiche.
Il caso potrebbe finire in niente o quasi. Ma la Disciplinare, con coraggio e rompendo uno schema corporativo, stabilisce che il magistrato deve togliersi per sempre la toga.
Un verdetto in linea con la sensibilità del vicepresidente del Csm Fabio Pinelli, artefice, anche come numero 1 della Disciplinare, del nuovo corso che mette insieme il garantismo e il rispetto delle regole. Regole che non ammettono più eccezioni.
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