Tre volte prigioniero politico per lunghi periodi della dittatura cubana, l'ultima volta dall'11 luglio del 2021 fino a venerdì scorso (quando è stato scarcerato dopo l'accordo tra l'amministrazione Usa di Biden e il regime dell'Avana), José Daniel Ferrer coordina l'Unione patriottica di Cuba, l'Unpacu, il maggiore movimento sociale dell'isola caraibica, con migliaia di membri e decine di migliaia di simpatizzanti. Il Giornale l'ha intervistato in esclusiva.
José Daniel, come stai?
«Molto bene, il mio spirito è alto. Ho tanta energia e voglia di continuare a lavorare per la democrazia e il rispetto dei diritti umani a Cuba per farne una nazione libera e amica dell'Occidente, dell'Unione Europea e vera amica degli italiani che chiedono libertà, democrazia e diritti umani e che lottano e lavorano ogni giorno per questo. Colgo anche questa occasione per inviare i miei saluti al popolo italiano e alla vostra premier Giorgia Meloni e a tutto il suo governo».
La tua lotta continua, dunque?
«Sì, e con energie moltiplicate. Soprattutto per consolidare l'unità delle forze pro-democrazia di ogni cubano che crede che la democrazia e il rispetto dei diritti umani siano vitali per una società sana. Tutti devono dare sostegno nel modo in cui sanno farlo meglio. Non importa dove si trovino geograficamente. Se sapremo unire gli sforzi di tutti i cubani che vogliono il cambiamento riusciremo a ottenere il potere della guarigione e i risultati necessari per lasciarci alle spalle questa triste pagina della storia».
Com'è stata la tua prigionia?
«Ci sono stati periodi di una certa calma, ma per la maggior parte del tempo sono stato soggetto a pressioni di ogni tipo. Ho subito due aggressioni brutali, il 18 novembre e il 9 dicembre, ho dovuto fare più volte lo sciopero della fame perché mi lasciassero arrivare in carcere il cibo minimo necessario per mantenermi in salute, con il sostegno della mia famiglia e di molti amici all'estero. Hanno sempre cercato di costringermi a mangiare la terribile dieta della prigione che è anche molto pericolosa, possono drogarti con allucinogeni e altre sostanze per provocarti stati emotivi estranei alla tua natura, oltre alle malattie che dilagano come la tubercolosi, la scabbia e le piaghe che segnano tutti i prigionieri in stato di estrema denutrizione. Alcuni impazziscono, si aprono l'addome e s'iniettano olio per porre fine alla loro vita data la situazione disperata delle terribili condizioni del sistema carcerario cubano».
Che messaggio dai agli altri prigionieri politici?
«Ne scarcereranno 553, ma la lista è molto più lunga. Ce ne sono ancora centinaia che languono in condizioni estreme, ma anche molti di quelli appena usciti come me o che stanno per uscire corriamo il rischio permanente di essere imprigionati di nuovo. Ma sappiamo della necessità di continuare a fare campagne di solidarietà con chi resta in carcere e non possiamo mollare. La campagna di informazione deve essere intensificata affinché il mondo sappia qual è la realtà qui, la realtà dell'opposizione pacifica e democratica, delle carceri e qual è la vera essenza di questo macabro sistema che noi cubani subiamo da oltre 60 anni».
Tornare in carcere ti spaventa?
«No, né mi preoccupa. Continuerei a lottare per la libertà del mio popolo e della mia nazione dalle strade come dalla prigione. Finché potrò respirare lotterò per la democratizzazione di Cuba».
La dittatura è riuscita a imporre una narrazione in Italia. Quanto è importante il ruolo dei media per chi lotta per la libertà?
«Fondamentale. E se riusciamo a mantenere un livello di informazione verso l'Italia e verso tutta l'Unione Europea su quello che sta davvero accadendo a Cuba, anche i più insensibili e confusi finiranno per svegliarsi».
Come fare?
«Basta mostrare la verità. Ho un'esperienza di quando le reti wifi hanno iniziato a diffondersi a Santiago de Cuba (la sua città, nda) e nel parco principale abbiamo incontrato una coppia italiana di amici. Lui avvocato, lei membro di un partito comunista in Italia: ha cominciato a parlarmi, elogiando il regime di Cuba».
Come hai reagito?
«Senza perdere la calma: con il mio telefono in mano ho iniziato a mostrarle foto e video e in meno di mezz'ora ha iniziato a piangere».
Cosa le hai mostrato?
«Che la Cuba che lei pensava fosse quella vera era solo una facciata della Cuba reale, quella delle periferie della città, delle campagne, dei villaggi e che anche vicino a dov'eravamo era evidente. Quando ha capito che aveva sostenuto per decenni un regime che per essenza e metodo era molto simile a quello di Benito Mussolini da voi, quando ha visto la povertà, la fame e il terrore di avere problemi con le autorità del regime e la polizia, si è scusata e ha promesso che sarebbe tornata in Italia per spiegare ai suoi amici marxisti che erano stati completamente ingannati sulla realtà cubana».
C'è speranza per Cuba?
«Noi sosteniamo i cubani qui e gli esuli cubani che vivono in Italia e ovunque nel mondo.
Penso ci sia speranza ma la si deve concimare, annaffiare, farla crescere affinché si rafforzi. Senza questo lavoro la speranza non si consoliderà e, anzi, smetterà di esistere ma, fosse anche l'ultima cosa rimasta nel vaso di Pandora, non la possiamo perdere».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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