Dall'abbraccio Elly-Renzi a Conte "el Diez". Il calcio e mister La Russa uniscono la politica

Miracoloso "inciucio" in campo. Ma la forma fisica è tragica...

Dall'abbraccio Elly-Renzi a Conte "el Diez". Il calcio e mister La Russa uniscono la politica

Un elemento chimico, una cittadina in provincia di Bergamo, l'impugnatura delle armi da fuoco. Ma soprattutto un incantesimo inspiegabile che unisce il sacro e il profano e li costringe a coalizzarsi nella caccia mitologica a una palla. Se per Dante Dio è «l'amor che muove il sole e le altre stelle», in Italia il calcio muove tutto il resto. Perché d'accordo, i tafferugli sono una piaga sociale, certi stipendi sono immorali e che vergogna i cori razzisti. Ma poi arriva la «Partita del cuore» e quello sport tanto brutto, sporco e cattivo fa abbracciare la Schlein e Renzi e fa scherzare La Russa e Bonelli, due che si prenderebbero a calci negli stinchi anche in coda dal salumiere. Perché questo è il calcio. «Gioco popolare e orizzontale», come direbbe il ct filosofo Marcelo Bielsa, la livella che tutti mette sullo stesso erbaceo piano, coi tacchetti ai piedi e la «garra charrua», la voglia feroce di vincere, nel petto.

Dallo stadio dell'Aquila, complice il clima amichevole di beneficienza, arrivano vibrazioni di concordia istituzionale, inciuci e «biscotti», tipo Galliani e Moggi quando si scambiavano Davids e Inzaghi. Ora, potremmo vincere il campionato della retorica parlando del calcio che abbatte le barriere politiche e fa tornare bambini. Ma non lo faremo. Preferiamo vincere di corto muso e limitarci a fare una pagella semiseria dei clamorosi craque della Nazionale politici.

La Russa, voto 9. È il mefistofelico mister risultatista tutto catenaccio e inversione degli esterni, nel senso che li schiera entrambi rigorosamente a destra. Un misto estetico fra Frank Ribery e un inquisitore spagnolo del Cinquecento. Nemico del 4-2-fantasia, ha scelto la guida tecnica perché da calciatore - vedasi la grazia del rigore tirato nel riscaldamento - era più divisivo che da presidente del Senato. Interista di ferro, sfodera un taconazo - il colpo di tacco - da vero bauscia. Ha il merito storico di mettere insieme un gregge di brocchi in forma fisica tragica come non se ne vedevano dall'Ancona di Jardel e di farli divertire, ma in camicia e cravatta sembra sempre sul punto di strapparsele di dosso come una reincarnazione demoniaca di Allegri, arso dentro dal santo fuoco del motto «Dio, Patria e contropiede». Faccetta vera.

Renzi, voto 8. Ha l'autostima di Ibrahimovic nel corpo di un nerd. Lui non fa calcio, lui è il calcio. Arie da CR7 del Mugello, con tanto di contratti milionari ed esperienza internazionale, a chi gli chiede quanto si sente di giocare risponde «tutti i 90 minuti»: in panca ci va solo se perde al referendum. È il metronomo della trequarti almeno quanto è fuori sincrono dalla politica, emana qualità da ogni poro. La sicumera con cui palleggia come Maradona è pari solo a quella con cui padroneggia l'inglese. Un po' sindaco d'Italia, un po' assessore con delega al centrocampo. Segna col «cucchiaio». Un Socrates senza la democrazia corinthiana.

Schlein, voto 10. La sorpresa del mercato estivo, con quel nome da incontrista del Kaiserslautern. Sarà la ormai avvenuta metamorfosi in Sandro Tonali, sarà quel quadricipite tonico, ma sembra l'unica ad aver giocato a calcio davvero. A dispetto del patriarcato, è l'uomo-spogliatoio. Stringe forte Renzi in un'immagine che si tramanderà per generazioni. Lo fa perché non può strozzarlo, è evidente, ma che grande messaggio di fair play. Poi si appoggia a La Russa in un'ideale compromesso storico che supera Matteotti e Salò. Segna di destro e chiede scusa all'Anpi. Poi sfodera la zurda magica, usa la sinistra come un uncinetto e tesse trame fluide di assist. Più Gentiloni che Gentile, più Zaniolo che Zan. Lotta di classe pura.

Giorgetti, voto 6. Senza gli occhiali da commercialista è come Gullit senza treccine, irriconoscibile. Impersonifica la gloriosa scuola insubre dei portieri, che privilegia l'efficacia allo spettacolo. L'armocromista gli consiglia una divisa grigia come i conti italiani e lui risponde presente fin dallo stretching, che a una certa età la sciatica è come la procedura d'infrazione Ue: dietro l'angolo. Le uscite basse? «Sempre meglio che lavorare al ministero». Guru come Boskov. A bordo campo aizza la curva come il suo segretario al Papeete, ma dentro si vede che è un Higuita in catene. Trattenuto. Bonelli, voto 6,5. 50% reincarnazione di Nando De Napoli, 50% assicuratore pronto a venderti una polizza sulla casa (occupata). In porta la carriera è lunga, la vecchia volpe rossoverde non teme il Sol dell'Avvenire.

Fratoianni, voto 5. Portamento da bomber assoluto, con quei tratti da maschio alfa potrebbe ambire a una serata tra le veline a Formentera, invece è all'Aquila con Mulè. Logico che gli crollino testosterone e verve agonistica. Svogliato come solo i geni balcanici sanno essere, si scalda con il telefonino in mano, consapevole che gli schemi e i programmi contano poco se si hanno i colpi. Una rabona, un tocco no-look, una Salis candidata in zona Cesarini, e ci abbracciamo. Gli è mancato essere allenato da Gasperini...

Fontana, voto 6,5. Il fisico è da sollevatore di polemiche, le diottrie da Annibale Frossi, il senso della posizione da centromediano metodista d'altri tempi, quelli di quando ancora si potevano falciare i garretti degli avversari senza temere cartellini rossi, che sono pure da comunisti. Il fiato non è il suo forte, dalla Camera che presiede alla camera in rianimazione il passo è breve. Ha negli occhi un misto fra la gioia del bimbo a Natale e la lucida follia dell'impiegato delle poste sull'orlo del burnout. Teneramente psycho.

Conte, s.v. El Diez non si giudica, si idolatra. Come scrive il geniale sito satirico-calcistico «La ragione di Stato», ha un'aura da Baggio sul dischetto a Pasadena quando sigla il rigore decisivo. Resta il rammarico per non averlo visto con la pochette in campo, avrebbe segnato lo stile di un'epoca come la maglia fuori dai calzoncini di Baresi. Il suo Movimento è a 5 stelle, come la sua tecnica extra-lusso, ma predica nel deserto. Sarà che, come quando era premier, nessuno lo capisce. Ciuffo de Dios.

Casini, voto 7.

Dirigente non più giocatore, ha il viso solcato da mille abbronzature, mille partiti e mille avventure, non tutte ripetibili. È un Sabatini che ha fumato meno ma amato di più, la chioma argentea risplende sotto il cielo della Seconda Repubblica. Il Quirinale gli va stretto, dategli la Figc, la Uefa, la Fifa. Ma per carità non fate refusi...

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