
nostro inviato a Roma
Immaginate un caveau segreto, zeppo di opere d'arte di valore inestimabile e di ogni epoca, che quasi nessuno può visitare. Un tesoro nascosto dietro una pesante porta blindata. È il luogo dove i carabinieri del Nucleo Tpc-Tutela patrimonio culturale custodiscono quadri, sculture, reperti archeologici, oggetti preziosi recuperati dopo essere stati trafugati e in attesa di essere ricollocati. Ogni opera nasconde lunghe vicissitudini, per come è stata sottratta, per come si è inabissata nell'illegalità e, infine, per come è stata salvata. Il più recente visitatore illustre di questo luogo? Martin Scorsese, che lavora a un docufilm sull'arte recuperata.
Siamo a Roma, a Trastevere. Le opere del caveau sono stipate ma catalogate una per una, con etichette e numeri di serie. La stanza delle meraviglie è un miscuglio di pezzi eterogenei: la pala d'altare del Seicento è accanto al Warhol contraffatto, il crocifisso medievale divide il tavolo con il giaguaro confiscato nell'inchiesta Mafia Capitale, l'anfora kiota (da Kios) dell'Ottavo secolo a.C. trovata in una nave sul fondale è alla base della tela dipinta dall'allievo di Caravaggio. Impossibile dire esattamente quanti siano, vanno e vengono di continuo. Il Compianto di Adamo ed Eva sul corpo di Abele di Battistello Caracciolo, seguace caravaggesco del XVII secolo, è qui dal 2008, quando è stata scovata nella bottega di un antiquario. Mancava dal 1985, rubato dal castello di Valva, nel Salernitano. Vale 3-4 milioni di euro. C'è poi la grande cassaforte con i falsi venduti come autentici o esposti nelle mostre. De Chirico, Fontana, Modigliani... Su un ritratto dipinto da Moïse Kisling hanno lavorato i carabinieri del Ris, dimostrando che due dei colori usati contengono un pigmento messo in vendita solo vent'anni dopo la data dell'opera. Per i critici era un'opera originale. I Covoni, quadro attribuito a Van Gogh, è ancora sub iudice dei periti: potrebbe essere proprio del pittore olandese.
In un locale esterno al caveau si trova il vero tesoro. Sono otto urne funerarie più un sarcofago etruschi del Terzo secolo a.C. Sono stati scoperti in Umbria, a Città della Pieve, alla fine di ottobre. Lo stato di conservazione è eccezionale. Le statue sul coperchio, che raffigurano le defunte (tutte donne) sono ancora incrostate della terra dello scavo. Appena sotto, quasi intatti, le lamine d'oro dei gioielli, il rosso delle labbra, il trucco intorno agli occhi, le pennellate che disegnano i capelli ricci. Sulle urne sono rappresentate scene del'Iliade, a testimonianza della contaminazione romana dopo la conquista. Ecco la storia del ritrovamento. Nel 2015 un contadino in un proprio terreno in collina ha scoperto un ipogeo e ha avvisato la Sovrintendenza. La tomba conteneva le urne della famiglia Pulfna, ma solo degli uomini: mancavano all'appello quelle femminili. Nove anni dopo il Tpc scopre che sul web qualcuno cerca di vendere le urne mai ritrovate. Viene fuori che un imprenditore che si occupa di movimento terra è incappato nei preziosi reperti, che si trovavano sull'altro versante della collina, in una sua proprietà. Li ha scavati e li tiene in casa in attesa di un compratore. Le indagini dei carabinieri arrivano alla certezza del trafugamento grazie ai droni che sorvolano l'area e fotografano i container dell'azienda del tombarolo improvvisato. Sul fondo dei camion usati per il trasporto si vedono distintamente i calchi rettangolari lasciati dalle urne sulla terra bagnata. C'è anche un sarcofago che custodisce lo scheletro intatto di una donna. Una anatomopatologa lo sta analizzando: era di una 46enne che ha partorito due figli. E tra gli oggetti rinvenuti nella tomba c'è persino un'anforetta che contiene ancora i cristalli di profumo. Ora tutti i pezzi sono a Roma in attesa di restauro, dopo torneranno in un museo nel loro territorio d'origine.
«Ogni anno riportiamo a casa tra le 2 e le 300mila opere, in 56 anni di attività ne abbiamo recuperate 3 milioni», dice il colonnello Paolo Befera (nella foto in alto), comandante del Reparto operativo Tpc. Il Nucleo Tutela patrimonio artistico, come si chiamava all'inizio, nasce nel 1969 prima ancora che venga istituito il ministero della Cultura, da cui oggi dipende funzionalmente (non gerarchicamente). Allora era composto da 17 militari, attualmente sono 350, con competenza nazionale e internazionale, due gruppi a Roma e Monza e 16 nuclei regionali e una sezione supplementare in Sicilia. Il Tpc è stato il primo a essere istituito al mondo «e tuttora - continua Befera - l'Italia è l'unico Paese ad avere una polizia di settore, cioè dedicata esclusivamente al contrasto della continua dispersione del nostro patrimonio artistico e culturale. Da alcuni anni abbiamo anche una legislazione ad hoc». Il censimento delle opere trafugate ha richiesto anni e oggi la banca dati dei beni illegalmente sottratti, interamente digitalizzata, conta 1,3 milioni di pezzi. «Inutile dire che è la più grande al mondo. Ogni giorno perlustriamo la Rete alla ricerca di beni rubati messi in vendita, ma anche aste, mercati... Da qualche tempo ci soccorre l'Ia: il sistema Swoads (Stolen Works Of Art Detection System), scandaglia in automatico web e dark web cercando un match con le foto in archivio».
Le collezioni e i musei di tutto il mondo sono pieni di nostre opere. In testa ci sono i reperti archeologici scavati abusivamente dai tombaroli e finiti sul mercato nero delle «archeomafie», dove valgono decine di migliaia di euro. Occorre dire che un reperto fino al X secolo d.C. è per legge bene inalienabile dello Stato italiano. Il Tpc ha sequestrato interi caveau di mercanti d'arte celebri, come Gianfranco Becchina o Robin Symes. «Spesso però - spiega il comandante - è tutt'altro che facile convincere, ad esempio, un grande museo a restituire il bene. A volte ne nascono contese decennali». Si pensi agli argenti di Morgantina o al Cratere di Eufronio, finiti al Metropolitan di New York, o all'Atleta di Lisippo, tuttora al Getty di Los Angeles.
«In certi casi si è dimostrata molto efficace la strada della cooperazione e del cosiddetto accordo culturale». Per cui l'opera viene esposta a turno dai due Paesi. Un compromesso, conclude Befera, «che ha fatto rientrare migliaia di beni».
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