Ad personam. Nel governo Conte norme e leggine talvolta cadono a fagiolo per esponenti dello stesso esecutivo, regalando agli stessi, o a persone a loro vicine, vantaggi che è difficile definire inaspettati. Lo stesso premier, come è noto, varando il decreto rilancio ha fatto un bel favore al «suocero», Cesare Paladino, papà della sua fidanzata Olivia. Che, da proprietario dell'Hotel Plaza di Roma, aveva omesso di versare la tassa di soggiorno al Campidoglio tra 2014 e 2018, intascandosi quei 2 milioni di euro. Un «vizietto», a quanto pare, diffuso tra gli alberghi del Bel Paese e della capitale, visto che nell'indagine che aveva coinvolto Paladino c'erano in mezzo anche una ventina di altri hotel. Paladino, accusato dal pm Paolo Ielo di peculato (quei soldi vengono incassati per conto delle casse pubbliche), a giugno 2019 chiede di patteggiare una pena a un anno, due mesi e sette giorni di reclusione. Meno di un anno dopo, Conte nel decreto rilancio ai commi 3 e 4 dell'articolo 180 modifica il ruolo di riscossore per gli albergatori, e dunque il peculato per chi intasca la tassa di soggiorno si trasforma in «semplice» evasione fiscale. I maligni potrebbero pensare a una mossa per dare una ripulita alla fedina penale del papà della fidanzata, e il senatore di Fi Lucio Malan rilancia la storia, oggi, ricordando il differente peso che il M5s sembra dare ai «furbetti» del bonus rispetto alla vicenda della depenalizzazione della tassa di soggiorno che ha «sgravato dall'accusa di peculato il padre della compagna» di Conte, spiega Malan, che attacca: «Trattandosi di 2 milioni sottratti ai cittadini commettendo un reato, e non dei famosi 600 euro percepiti in modo del tutto vergognoso ma senza infrangere la legge (peraltro anch'essa firmata dallo stesso governo che ha depenalizzato la tassa di soggiorno), ci aspettiamo almeno le stesse sdegnate reazioni, in particolare dagli esponenti del Movimento 5 stelle».
Nessuna leggina, ma solo un'interpretazione «personalistica» delle norme, dietro la storia della casa di servizio dell'ex ministro pentastellato della Difesa Elisabetta Trenta. Un alloggio di pregio che le era stato assegnato per servizio al momento dell'entrata nel precedente governo: 141,76 euro di canone, 173 euro in più per «affittare» anche l'arredamento. Non esattamente un prezzo di mercato. Quando a settembre cade il governo, quell'alloggio ministeriale finisce riassegnato proprio al marito dell'ex ministro, il maggiore dell'Esercito Claudio Passarelli, e la coppia rivendica il diritto a vivere lì quando il caso viene alla luce. La procura militare di Roma apre un fascicolo per capire meglio, la Trenta cede, e all'inizio dello scorso gennaio la coppia trasloca nella casa di proprietà, al quartiere Prenestino.
Ultimo caso in ordine di tempo, è l'autoassunzione della ministra dell'istruzione Lucia Azzolina, che nel 2017 aveva partecipato al concorso per dirigenti scolastici classificandosi al posto 2.543 quando, ad agosto 2019, viene pubblicata la graduatoria. Due avvisi, nel giro di pochi giorni, fissano in 2,045 i dirigenti da assumere immediatamente. E il 4 agosto scorso con la Azzolina ministro, dal ministero arrivano altri 458 posti assegnabili in 18 regioni. La Azzolina sembrerebbe ancora fuori (si arriverebbe al numero 2.
503), ma un decreto dipartimentale di ottobre scorso, a nuovo governo fresco di insediamento, ripulisce la graduatoria, cancellando 80 candidati classificati prima della ministra, che dunque finisce per occupare un posto in graduatoria che le darebbe diritto, da subito, a essere assunta. Ma ovviamente per fare la preside, la ministra potrà attendere di finire la sua esperienza al governo.
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