Due vittime in un solo giorno, tre nell'ultima settimana. Gli ennesimi femminicidi di un elenco che non smette di allungarsi. Un'escalation sempre più drammatica e fuori controllo. Storie di mogli uccise da mariti, ex mariti o compagni. Da uomini con cui avevano condiviso la vita o parte di essa, fatto figli e progetti. Delitti avvenuti per gelosia, per l'incapacità di accettare la fine di una relazione, per un raptus improvviso, per un rifiuto. Per mille e più motivi destinati a finire nei manuali di psicologia.
Ma intanto la strage continua e le leggi sembrano non bastare ad arginare la violenza. Cinquanta femminicidi dall'inizio dell'anno è un numero impressionante, anche se statisticamente in calo rispetto alle 83 donne uccise nello stesso periodo del 2020. Dei 186 omicidi avvenuti in Italia dal primo gennaio al 5 settembre di quest'anno, 76 vittime sono state donne, una media di un femminicidio ogni tre giorni. E quasi tutte hanno trovato la morte in ambito familiare o affettivo, incluse le 47 uccise dal partner o dall'ex. Sono i numeri dell'ultimo report del Servizio analisi criminale, da aggiornare con le 3 vittime di questa settimana. Ma l'emergenza femminicidi non è solo italiana. Nel 2019 in Europa sono state uccise 1.421 donne, una media di quattro al giorno, una ogni sei ore: 285 in Francia, 276 in Germania, 126 in Spagna e 111 nel nostro Paese. Ma prendendo in considerazione il numero di abitanti, la maglia nera spetta alla Lettonia, dove le donne vittime di omicidi volontari sono 4,06 ogni 100mila abitanti. I dati estrapolati dal database di Eurostat, e aggiornati a due anni fa, confermano che i tassi di omicidi femminili più elevati si registrano nei Paesi dell'Europa orientale e meridionale.
Il fenomeno viene messo a fuoco anche nell'ultimo report dell'Istat sulla criminalità e gli omicidi nel nostro Paese. Nel 2020, l'anno della pandemia, i delitti sono diminuiti, ma sono aumentati i femminicidi. Nel primo semestre dello scorso anno «gli assassini di donne sono stati pari al 45% del totale degli omicidi, contro il 35% dei primi sei mesi del 2019, e hanno raggiunto il 50% durante il lockdown».
C'è dunque un collegamento tra la permanenza forzata in casa e comunque lo stravolgimento della quotidianità dovuto all'emergenza sanitaria e l'esplosione della violenza tra le mura domestiche? «Per fare un'affermazione così netta servirebbe un esame comparativo delle casistiche degli anni passati - spiega la psicologa Vera Slepoj - sicuramente c'è stato un forte peggioramento e mi inquieta il fatto che non ci sia nessuna sensibilità politica e istituzionale di fronte a questo stillicidio». Per la Slepoj è fuori discussione che il Covid abbia portato un grande cambiamento nella condizione sociale. «C'è la sensazione di non avere più punti di riferimento - c'è una maggiore insofferenza e intolleranza. Si creano dei corto circuiti che portano ad avere una sorta di incapacità di tenere sotto controllo le impulsività e sono aumentati i soggetti che non hanno l'attrezzatura emotiva in grado di gestirla. La pandemia ha reso più fragili i comportamenti sociali in generale. Il soggetto non è più in grado di controllare l'emotività e dentro questo aspetto c'è anche l'omicidio: si uccide per l'incapacità di gestire razionalmente i diritti degli altri». La pandemia ha fatto perdere «il senso della collettività». «C'è sempre più insofferenza - spiega la psicologa - e incapacità di tollerare le regole.
L'ansia per il futuro può essere uno dei motivi scatenanti, ma in genere tutti i tipi di angoscia possono creare un corto circuito legato al cambiamento. C'è questo desiderio di dominare l'altro sottomettendolo o di punire il partner per la capacità di aver fatto una scelta autonoma».
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