La vendetta (politica) dei diciassette milioni di pregiati visoni abbattuti in piena pandemia non si è compiuta fino in fondo. Se la Danimarca ieri è tornata al voto anticipato, sette mesi prima della scadenza naturale della legislatura, lo deve anche al «Minkgate», lo scandalo dei visoni appunto. Eppure la premier uscente social-democratico Mette Frederiksen è stata graziata. Il blocco di sinistra è in vantaggio anche se nessuno ha conquistato la maggioranza nelle elezioni in Danimarca, lasciando il partito centrista dei Moderati come ago della bilancia. La coalizione di centrosinistra della premier è quella che ha ottenuto più voti, secondo gli exit poll, ma senza una maggioranza sufficiente a fronteggiare gli avversari di centrodestra. In testa quindi il cosiddetto «blocco rosso», formato dalle formazioni progressiste e ambientaliste. La coalizione guadagnerebbe infatti 85 seggi nell'Assemblea nazionale superando il «blocco blu» delle forze di centrodestra. Quest'ultimo guadagna 73 seggi, sempre secondo gli exit poll. La maggioranza in Parlamento si ottiene con 90 seggi. I Socialdemocratici guadagnano, secondo le prime analisi di voto, il 23,1 per cento, mentre il Partito liberale ottiene il 13,5 per cento di preferenze e i conservatori il 5,5 per cento. Il partito dei Moderati, forza recentemente lanciata dall'ex primo ministro Lars Loekke Rasmussen, avrebbe ottenuto 17 seggi, con il 9,3 per cento delle preferenze, risultando così come da previsioni l'ago della bilancia della sfida elettorale. I Democratici ottengono secondo le proiezioni il 6,3 per cento. Il partito social-liberale (Radikale Venstre) prende il 4,3 per cento, mentre il Partito popolare danese riesce a superare la soglia di sbarramento del 2 per cento, ottenendo il 2,5 per cento. Parlando ai giornalisti fuori dal seggio a nord ovest di Copenhagen, la premier Mette Frederiksen ha espresso l'auspicio di una collaborazione tra le varie formazioni politiche. Quella di ieri sono elezioni generali anticipate dopo che il Partito Social Liberale, membro della coalizione di governo con i socialdemocratici, ha costretto la premier Frederiksen ad anticipare il voto in cambio della non presentazione di una mozione di sfiducia. Ma cosa c'entrano dunque i visoni? Due anni fa per il timore che fossero vettori di una forma mutata di Covid-19, fino al punto di minacciare l'efficacia dei vaccini vennero abbattuti. Un colpo al cuore per l'economia dell'intero Paese, primo esportatore mondiale della pregiatissima pelliccia. Un export soprattutto verso i mercati asiatici che fattura circa un miliardo di dollari all'anno, una parte consistente delle esportazioni nazionali, e coinvolge un migliaio di imprese; circa 6 mila posti di lavoro sarebbero ora a rischio. Una decisione difficile varata nel novembre 2020 dal governo diventata nel frattempo (siamo ormai a giugno di quest'anno) insostenibile quando è emerso che il governo non aveva alcuna base legale per imporre il provvedimento agli allevatori. È da quel momento infatti che la coalizione di governo tra forze di sinistra si è fortemente indebolita, fino ad approdare a elezioni anticipate. Gli alleati dei Radicali di sinistra hanno chiesto alla premier la convocazione di elezioni anticipate. Successivamente, lo scorso settembre, la stessa richiesta è arrivata anche dai sei partiti di opposizione di destra e di estrema destra.
La chiamata alle urne rappresenta quindi l'atto finale di una vera e propria saga che ha sconvolto il Paese per lunghi mesi, mettendo in seria difficoltà il governo a Copenaghen e intaccando, solo in parte, la popolarità della premier 44enne Frederiksen.
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