Il Daspo in ospedale

"Far pagare le cure per tre anni a chi aggredisce i medici": la proposta per limitare la violenza in corsia. Ogni giorno 40 episodi contro gli operatori sanitari

Il Daspo in ospedale
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Chi aggredisce i medici verrà estromesso dal servizio sanitario. O meglio: verrà curato in caso di emergenza ma dovrà pagare tutto il resto, dalle visite programmabili a quelle di elezione. Almeno per tre anni. Se verrà colto in flagranza, mentre usa violenza contro un medico o un infermiere, potrà perfino essere arrestato.

La proposta - che forse non verrà mai applicata ma che suona come una provocazione più che mai necessaria - è contenuta in un ddl presentato dal senatore Ignazio Zullo, capogruppo di Fratelli d'Italia in commissione Lavoro e Sanità. Ed è anche l'oggetto di una petizione promossa su Change.org dal medico salernitano Salvatore La Gatta.

L'idea di creare un Daspo sanitario sta facendo parecchio discutere. «I violenti dovranno pagare le cure così capiranno il valore del nostro Servizio sanitario e quanti sacrifici, passione, professionalità e abnegazione mettono in campo gli operatori sanitari» specifica Zullo. Parallelamente si sta valutando di istituire il manager della sicurezza: se ne è discusso al policlinico di Foggia dopo l'aggressione allo staff medico.

«Finalmente qualcosa si muove, anche se ancora in modo gravemente insufficiente rispetto alle esigenze dei sanitari - interviene l'infettivologo Matteo Bassetti - . Oltre al Daspo sanitario si dovrebbe prevedere anche il carcere preventivo (se flagranza di reato) e lavori socialmente utili per chi percuote un sanitario sul luogo di lavoro. Solo il pugno durissimo contro questi delinquenti può fermare questo scempio inaccettabile». Molti giudicano la proposta non solo eccessiva ma «anti costituzionale». Tuttavia cavalcano il dibattito e dicono la loro per migliorare la sicurezza negli ospedali, a cominciare dai pronto soccorso.

L'associazione Nessuno tocchi Ippocrate suggerisce un vademecum salva medico: drappelli di polizia in tutti i pronto soccorso (non a macchia di leopardo), pagamento del ticket per codici bianco/verdi (che spesso non viene applicato), video sorveglianza su tutti i mezzi di soccorso, centrale operativa unica per allertare 118 e la guardia medica (rigorosamente su linea registrata). E certezza della pena detentiva per gli aggressori. «Finiamola - ammonisce l'associazione - di proporre soluzioni squallide come corsi di difesa personale per i sanitari, oppure l'istituzione della figura dell'assistente infermiere che 'calma' gli utenti in sala d'attesa».

Una soluzione va trovata. Il dibattito su come difendere il personale sanitario è stato riacceso dal caso di Foggia dove i medici di un'équipe chirurgica si sono dovuti barricare in una sala per fuggire all'aggressione dei parenti di una ragazza che purtroppo è morta in sala operatoria. Ma la piaga delle aggressioni è molto più estesa. I casi di violenza sono 16mila all'anno in tutta Italia: più di 40 al giorno.

«Non possiamo abituarci a questa violenza - sbotta Giovanni Migliore, presidente della Fiaso (in rappresentanza delle aziende sanitarie e ospedaliere) - né possiamo militarizzare gli ospedali. Per questo vanno introdotti il fermo di polizia e la flagranza differita, e guardiamo con interesse anche all'ipotesi Daspo per i violenti. Ma alla politica diciamo: fate presto, non c'è più tempo, occorre agire in fretta».

La battaglia è quella che da mesi combatte anche Francesco Dentali, presidente Fadoi (medici internisti): «Siamo al fronte (come se fosse una guerra) veniamo percepiti dai pazienti e dai parenti dei pazienti come fossimo un loro nemico». Ma al netto di tutti i problemi che ci sono in corsia, «chi lavora nel sistema sanitario è sempre stato ed è tutt'ora a fianco delle persone malate e ne condivide i disagi e le sofferenze».

L'idea del Daspo interessa anche ai medici di famiglia Fimmg: «Si interverrebbe sulla maggior parte delle aggressioni, per

lo più misconosciute, poiché ormai nemmeno segnalate dagli operatori ma che, impunite, sembrano giustificate e ordinarie nella cultura comune» commenta Silvestro Scotti a nome del sindacato dei medici di medicina generale.

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