Neppure il faccia a faccia tv su Sky è riuscito a mettere un po' di pepe alla gara Bonaccini-Schlein.
Lui attento a non scoprirsi a sinistra, lei col freno a mano per non apparire troppo radical-chic; nessuno scontro aperto sui temi divisivi, al di là di qualche risaputo slogan anti-renziano per lei e qualche rivendicazione da vecchio riformista per lui. Tanto la gara è ormai alle battute finali (era l'ora) e domenica saranno le urne delle primarie a stabilire il nuovo leader del Pd.
Dopo mesi di campagna congressuale, però, nessuno riesce a intravedere all'orizzonte, chiunque vinca, quella scossa palingenetica capace di far uscire il Pd dal declino che sembra segnarlo. E neppure tra gli osservatori più attenti e interessati ai destini della sinistra si registrano grandi aspettative o emozioni. Anche Claudio Velardi, l'ex dalemiano esperto di comunicazione politica che non è mai a corto di analisi puntute sulle imprese dem, si trova in difficoltà: «Sono entrambi così poco adeguati all'impresa che mi mancano anche le parole per dirlo. Mi rifaccio alla meravigliosa sintesi di Mattia Feltri ieri: Devo dire che con due così mi sento molto più tranquillo, e Meloni idem». Quanto al Pd, Velardi non si fa illusioni: «Finita l'ammuina delle primarie, qualunque sia il suo segretario si alleerà con il Movimento Cinque Stelle». E sancirà così la fine del proprio ruolo.
Per Claudia Mancina, docente di filosofia ed ex parlamentare Pd, «non è tanto un problema di adeguatezza alla leadership dei due candidati, ma di che idea di partito hanno in testa». Perché al Pd, spiega, serve con urgenza di uscire dalla «deriva» iniziata con la fascinazione verso M5s, che «gli ha fatto perdere il proprio baricentro per correre appresso a una confusa opzione populista». Opzione rappresentata da Schlein, che «incarna un'idea di sinistra radical che insegue i temi alla moda, che hanno successo sui social». Mentre Bonaccini cerca di «ridare centralità al ruolo di una sinistra riformista che, anche dall'opposizione, si concepisce come forza di governo».
L'ex capo dei metalmeccanici Cisl, Marco Bentivogli, descrive l'entropia del Pd: «Ormai la destra e la sinistra interna vengono definite non dalle idee ma dal diverso grado di abiura verso Renzi. Vi sembra serio annoiare il paese con uno scontro tra ex renziani?». Del resto, ricorda, «da due anni il gruppo dirigente ha una grande proposta per il paese: allargare il Pd a Art.1(gli scissionisti di D'Alema e Bersani, ndr.) e Demos (si tratta del braccino politico di Sant'Egidio, ndr.). Con grande rispetto, solo chi ha in testa un vecchissimo presepe può pensare che così si aggreghi la sinistra o il mondo cattolico».
Proprio dal mondo cattolico della Dc moderata (e del centrodestra, prima di approdare nel centrosinistra prodiano) arriva il giudizio sui due candidati di Marco Follini: «Due figure agli antipodi. Uno è il prototipo del buon amministratore, solido e capace ma lontano dai voli della fantasia». L'altra è «dedita piuttosto alla mediaticità, al nuovismo, alla rincorsa del futuro, con un certo gusto per lo scandalo».
Bonaccini, «un professionista dei ferri del mestiere», sia pur senza guizzi. Schlein, «una professionista dell'arte del dilettantismo». O, secondo la sintesi più brutale del sociologo Luca Ricolfi, «una socialconfusa con astratti progetti».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.