Delitto, castigo e terza età: in carcere quasi 800 anziani

Il dato del 2017: sono 776 gli over 70 detenuti in Italia. E nel giro di dieci anni il loro numero è raddoppiato

Delitto, castigo e terza età: in carcere quasi 800 anziani

Serve più coraggio, da parte del legislatore e della magistratura, nella concessione di misure alternative al carcere per le persone anziane». A parlare è Stefano Anastasia, Garante dei detenuti della regione Lazio. L'occasione è un episodio di pochi giorni fa: la festa di compleanno (l'ottantesimo) di un detenuto del carcere di Rebibbia, il benvoluto signor Gino, che, pur anziano e definito una persona «speciale» dai volontari della Caritas, vive ancora tra le mura di una cella.

Il caso, in effetti, si presta a suscitare distonie, dibattiti, riflessioni. «Gino ha spiegato infatti Anastasia non ha ottenuto gli arresti domiciliari ed è dunque tra i 90 ultrasettantenni detenuti nel Lazio; nonostante la legge preveda che 70 anni sia il limite massimo per la privazione della libertà per motivi di giustizia». E, soprattutto, «nel complesso degli istituti penitenziari italiani alla fine dello scorso anno erano presenti 776 detenuti con più di 70 anni di età, più del doppio di quanti ce ne fossero dieci anni prima, nel 2007».

Il tempo passa, muta i lineamenti delle cose e delle persone, accumula speranze e rassegnazioni, e invecchia, insomma, anche negli istituti penitenziari. Lì dove una sentenza ha impartito una pena severa, la verità processuale ha posto il sigillo, e le fila degli anziani che scontano gravi reati sono lunghe e nutrite. La popolazione carceraria risulta, in particolare, sempre più in là negli anni. Perché, se i giovani dietro le sbarre si avvalgono di leggi come quella del 2014 (che ha stabilito lo sconto di pena fino a 25 anni negli istituti di pena minorili, per chi era stato arrestato quando ancora non aveva compiuto 18 anni), i meno giovani scontano condanne estese, e sono un'alta percentuale dei reclusi italiani. Decennio 2007-2017: i detenuti under 40 vanno progressivamente a decrescere; quelli più anziani, al contrario, sono in sensibile aumento. Secondo Alessio Scandurra, responsabile dell'Osservatorio Carceri dell'associazione Antigone, «l'invecchiamento della popolazione carceraria è un fenomeno mondiale; ma quello italiano ha alcune peculiarità. A seguito della sentenza Torreggiani sul sovraffollamento delle carceri, gli ingressi sono calati. Una serie di interventi legislativi in questi anni ha tentato di svuotare le Case circondariali. Infine si è assistito a un inasprimento delle pene».

E non c'è dubbio che chi sconta una pena così lunga abbia commesso, in linea di massima, un reato proporzionato alla condanna. Ma il fenomeno pone interrogativi, fosse solo perché, in ogni storia fatta di grandi numeri, ci sono grandi numeri di storie tutte diverse. E domande su quali alternative siano possibili. Come l'istituzione di reti di accoglienza, anche alloggiative, per anziani altrimenti costretti a morire nelle carceri: fermo restando che la perdurante e dimostrata pericolosità sociale giustifica pene così lunghe anche quando l'età che avanza complica le condizioni di salute, e certamente ostruisce (probabilmente inabissa) una visione del futuro. Anche negli Stati Uniti, solo dal 2007 al 2010, il numero di detenuti over 65 è aumentato 94 volte più velocemente del resto della popolazione carceraria.

Ci sono realtà italiane come quella di Bollate (notoriamente un «lusso», quanto alla qualità della vita quotidiana e alle attività svolte dai reclusi), in cui assistere gli anziani è diventato un lavoro per i giovani. Spesso, giovani con una condanna a vita. Ma non è la prassi delle case di reclusione italiane.

E se il fenomeno offre chiavi di lettura disparate, le soluzioni restano, certamente, tutte da scrivere.

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