"La democrazia diretta è una spinta pericolosa. Quesiti a rischio taglio"

Il costituzionalista Alfonso Celotto: "La Consulta ne falcerà parecchi. Non si cambia il Paese con un clic"

"La democrazia diretta è una spinta pericolosa. Quesiti a rischio taglio"

La storia corre. E travolge anche la politica. «È quel che è successo con i referendum», spiega Alfonso Celotto, ordinario di Diritto costituzionale a Roma Tre.

Che cosa è accaduto, professore?
Il referendum abrogativo era nato nella democrazia di Don Camillo e Peppone. Nessuno all'epoca avrebbe immaginato la pandemia».

Scusi, ma che c'entra la pandemia?
C'entra eccome. Perché con il Covid in un anno e mezzo scarso 16-17 milioni di italiani hanno scoperto lo spid e quindi la firma digitale. Ecco così il boom dei referendum: la giustizia, l'eutanasia, adesso addirittura la legalizzazione della cannabis, con il superamento della soglia delle cinquecentomila firme in pochi giorni, addirittura meno di una settimana. È incredibile, nessuno l'aveva previsto, è accaduto sotto i nostri occhi».

Siamo davanti a una rivoluzione?
Non c'è dubbio che ci stiamo affacciando in una nuova epoca: entriamo nella democrazia digitale, anche se ancora non ne cogliamo tutte le potenzialità e le insidie. Allo stesso tempo quelli che arrivano in questi giorni sono segnali fortissimi, schiaffoni, per il Parlamento».

La democrazia diretta scavalcherà Camera e Senato?
«Calma, calma. Diciamo che davanti a un Palazzo ingessato, bloccato, incapace di partorire riforme di cui si discute da trent' anni, ecco che il popolo prende, per così dire, l'iniziativa da solo».

In effetti, tanti temi languono sul tavolo dei partiti da trent' anni.
«Come la separazione delle carriere. Ma per citare il fine vita, la Corte costituzionale aveva dato al parlamento un anno per risolvere il caso di dj Fabo. Hanno fatto qualcosa?».

No, e quindi viva la democrazia diretta?
«La novità è suggestiva e le materie si moltiplicano. Proprio pochi minuti fa, sul mio telefonino è arrivato un nuovo quesito in cantiere, quello proposto dai no green pass. Ma attenzione, lo strumento è monco».

È incompleto?
«Come accennavo, ha rivitalizzato il referendum abrogativo che era un po' passato di moda. Prima ci volevano mesi e mesi, la mobilitazione dei partiti, i banchetti e i notai, adesso si fa tutto in un attimo. Ma. Ma intanto alcuni quesiti sembrano scritti, per forza di cose, di volata e temo che la Consulta li fermi, non ritenendoli ammissibili».

Quali?
«Almeno tre: quelli sulla separazione delle carriere, la carcerazione preventiva e l'eutanasia. Questo è il primo ostacolo. Questi referendum potrebbero arenarsi sul più bello. Dopo una partenza bruciante, potrebbero non raggiungere il quorum del 50% più uno degli aventi diritto che vanno alle urne».

Ma come può essere, se si raccolgono centinaia di migliaia di firme in una manciata di giorni?
«Sono due momenti diversi. Adesso, se voglio, io firmo in pantofole dal salotto di casa. Dal 2000 il quorum è stato raggiunto solo una volta, nel 2011, con il voto su 4 quesiti, dall'acqua pubblica al nucleare. Consideriamo che c'è un trenta per cento che non va mai a votare, per nessuna ragione».

Questo potrebbe fare la differenza?
«L'arma in mano ai referendari è micidiale ma imperfetta. Cinquecentomila firme smuovono le acque più di cinque anni di dibattiti a Montecitorio e Palazzo Madama. Ma che poi le norme cambino davvero è tutto da dimostrare: la Consulta farà una prima inevitabile selezione e poi ci sarà il duello».

Favorevoli e contrari?
«In molti casi, come è accaduto nel passato, lo scontro sarà fra i sì e gli astenuti. E il grande tema sarà oltrepassare la barriera del 50 per cento più uno. D'altra parte, il referendum abrogativo fu attivato nel 70, all'epoca del divorzio, e in quell'occasione, con la Dc che si era spaccata in due, fu stabilito un iter abbastanza complicato, con il doppio vaglio della Corte costituzionale e della Cassazione, proprio per non trasformarlo in una passeggiata facile facile».

L'ondata referendaria dà ragione ai teorici della democrazia diretta, quella del clic, alla Casaleggio?
«Oggi si scoprono possibilità fino a ieri impensabili. E il Parlamento, già in grande crisi di identità, viene scavalcato. Ma la democrazia diretta deve ancora essere studiata. Mi limito a far notare che anche la democrazia del clic nasconde grandi insidie e pericoli.

Ce ne siamo accorti quando i 5 Stelle votavano sulla piattaforma Rousseau e questioni importantissime venivano decise da poche migliaia di persone, anche se il Movimento raccoglieva milioni di voti. Qualcosa non funzionava e quel meccanismo dovrebbe essere corretto. La democrazia diretta non può diventare un club».

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