La democrazia tradita

Appena il Cavaliere ha ripreso a parlare, è tornato a riaffacciarsi nell'agone, si è rivisto in televisione, è scattata la mannaia

La democrazia tradita

Uno, due, tre missili micidiali. La violenza sembra quella di una guerra, termine che Matteo Renzi rifiuta di pronunciare contro l'Isis, ma che a quanto pare abbiamo in casa. Da anni e anni. Con il rinvio a giudizio di ieri siamo arrivati al terzo processo al Cavaliere sul «caso Ruby». Siamo al Ruby Ter.

E già il termine latino lo paragona a quelle vicende interminabili che hanno segnato la Storia di questo Paese, come i processi per la strage di Piazza Fontana o quelli di mafia. Ma questo caso passerà alla Storia, quella con la S maiuscola, non per la vicenda in sé, ma proprio per il processo, o meglio, per le (...)(...) perversioni processuali che dimostrano un accanimento senza pari. Non basta aver espulso Berlusconi, cioè l'uomo che ha segnato i vent'anni della seconda Repubblica, che ha guidato governi e presieduto vertici internazionali, dal Parlamento, ma bisogna liquidarlo del tutto dalla scena politica: che sia fuori o dentro le istituzioni poco importa. Bisogna privarlo della cittadinanza nella società italiana. Appena il Cavaliere ha ripreso a parlare, è tornato a riaffacciarsi nell'agone, si è rivisto in televisione, è scattata la mannaia. E l'incredibile è che questa persecuzione, che va avanti da due decadi, continui anche ora. Come un automatismo irrazionale, un riflesso antropologico completamente avulso da ciò che avviene nel mondo. In un Paese in cui tutti predicano l'unità nazionale di fronte ai pericoli di un futuro incerto e insidioso, si getta ancora il seme del conflitto, dell'odio. Si fa finta di niente di fronte alla guerra, quella vera, che ti bussa alla porta. La si esorcizza o, peggio ancora, la si ignora.

Ma intanto si alimenta quell'aggressione di una parte della magistratura, per fortuna sempre più esigua, contro una parte della politica. Un'aggressione che ha messo a soqquadro l'Italia, ne ha indebolito le istituzioni e messo a repentaglio affermazione tutt'altro che eccessiva la democrazia. Siamo di fronte ad un Paese impazzito che balla sul Titanic. Nel mondo la consapevolezza del rischio del «non ritorno», di una «terza guerra mondiale» di cui già parla il Santo Padre, fa rimuovere nella memoria delle democrazie occidentali i crimini efferati del regime di Bashar al-Assad. Da noi, cioè in un Paese sull'orlo del precipizio, verso il quale qualche partner europeo vuole erigere di nuovo le frontiere, ci si attarda, invece, per la terza volta sul «caso Ruby». Scornata per l'assoluzione nel «Ruby uno», la procura di Milano ha portato alla sbarra i testimoni della difesa e, ovviamente, di nuovo Berlusconi. Un processo continuo. Un assedio lungo una vita, che non può non destare il sospetto per usare un eufemismo di una contaminazione politica. Basta allargare lo sguardo per trasformare quella sensazione in una certezza. In questa legislatura 274 parlamentari ma il numero è in aumento hanno cambiato casacca. Hanno puntellato prima il governo Letta e ora tengono in piedi il governo Renzi.

Eppure nessuna procura si è cimentata in un'inchiesta per verificare i motivi di tali migrazioni. Il Cavaliere, invece, è stato condannato in primo grado a tre anni con l'accusa di aver corrotto quel tipetto veloce che è il senatore De Gregorio, che su suo ordine avrebbe fatto cadere il governo Prodi (il personaggio aveva lasciato la maggioranza ulivista due anni prima). Di episodi del genere se ne potrebbero raccontare decine. Uno riguarda mi scuso con il lettore per l'autocitazione anche il sottoscritto: assolto da giornalista dall'accusa di peculato e condannato (senza risentire un testimone o presentare una nuova prova) da senatore. Nel tribunale che mi ha colpevolizzato era presente un giudice che nella sua vita ha passato più anni in politica (sottosegretario del governi Prodi e D'Alema) che non in magistratura. Il pm aveva chiesto due anni. Il collegio, con il giudice in questione, ha aggiunto quei sei mesi necessari per far scattare la Severino e puntare ad espellermi dal Parlamento.

Faccio due constatazioni: il nostro è l'unico Paese in cui sia permesso ad un «politico» tornato in magistratura di giudicare un avversario; in secondo luogo, la legge Severino a quanto pare funziona solo sul versante moderato. Su quello mancino, vedi i casi De Magistris e De Luca, ne sono immuni. Sono tutte riflessioni su dati di fatto che inducono ad avere un'idea meno aulica del nostro sistema giudiziario. Che suscitano un senso di paura. In fondo nei «regimi» gli avversari politici non si eliminano perché sono degli oppositori, ma accusandoli di reati infami.

Non è un caso che nell'ultimo anno è diventata di moda una parola coniata in Sud America: «democratura», una dittatura che ha le sembianze della democrazia. Ma da noi la «politica» ne è la vittima predestinata.Augusto Minzolini

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