«Non mi faccio intimidire da un Parlamento che si fa dettare le interrogazioni dagli indagati di mafia». Alla vigilia della probabile nomina di Nicola Gratteri a procuratore capo della Procura di Napoli, le dichiarazioni rilasciate dallo stesso magistrato di Catanzaro lo scorso 30 maggio alla V commissione del Csm fanno infuriare il deputato di Azione-Italia viva Roberto Giachetti e rischiano di compromettere la sua promozione.
L'avvocato indagato che detterebbe le interrogazioni ai parlamentari è l'ex azzurro Giancarlo Pittelli, che Gratteri individua come il politico di riferimento delle cosche in un processo, nato dall'inchiesta Rinascita-Scott, ormai alle battute finali. Il legale aveva invocato la sua innocenza in alcune missive scritte ai suoi ex colleghi parlamentari, come lo stesso Giachetti, l'ex ministro Mara Carfagna o la Pd Enza Bruno Bossio (altro bersaglio di Gratteri assieme all'ex compagno Nicola Adamo). Giachetti non ci sta a passare come inconsapevole messaggero della mafia e attacca il magistrato alla Camera, invocando un intervento del Csm e punzecchiando anche l'ex collega di partito Ernesto Carbone oggi a Palazzo de' Marescialli («Come ha fatto a stare zitto di fronte a queste accuse al Parlamento?», si chiede il renziano).
A complicare la strada di Gratteri ci pensa anche l'ex Pg di Catanzaro Otello Lupacchini, cacciato in un fiat dal Csm, trasferito a Torino e degradato a semplice sostituto per aver adombrato su una tv Mediaset «l'evanescenza come ombra lunatica» di molte delle operazioni di Gratteri («una denigrazione immotivata e ingiustificata» per lo stesso Csm) anche grazie alle pressioni dell'ex Guardasigilli M5s Alfonso Bonafede e dell'allora Pg di Cassazione Giovanni Salvi. Durante un'infuocata conferenza stampa per la presentazione del libro De iniustitiae execratione di Lupacchini sulla vicenda, sono stati rivelati dei retroscena sulla cacciata dell'ex Pg («Gratteri mi ha definito paranoico e invidioso»), tanto che il senatore azzurro Pietro Pittalis ha chiesto che il Csm sospenda la sua decisione.
Non è certo il miglior viatico per il pm antimafia, di cui oggi Palazzo de Marescialli deciderà il destino. Sarebbe l'ennesimo Papa straniero dopo Roma, Palermo, Firenze e Milano. La sua nomina a Napoli - sede vacante da maggio 2022, quando Giovanni Melillo è diventato Procuratore nazionale antimafia - appare abbastanza scontata. Per lui dovrebbe votare Magistratura indipendente, il togato Antonio Mirenda, i laici del centrodestra e financo lo stesso Carbone. Pd, M5s, Unicost, Area e Md si dividono tra il procuratore capo di Bologna Giuseppe Amato e la reggente della Procura Rosa Volpe, la più grande (e politicizzata) d'Italia, che vive l'arrivo di Gratteri come un incubo. Lo scomodo pm antimafia - che lascia la Calabria orfana dell'ennesimo figlio illustre, più povera e più debole contro la 'ndrangheta - arriverebbe in una Campania ripulita o quasi dall'appiccicosa e sempiterna etichetta di camorra, diventata una mafia pulviscolare, fuori controllo e infarcita di ragazzini senza guida, anche grazie a una felicissima narrazione mainstream corroborata dallo scudetto del Napoli, dalla grande bellezza del film su Diego Maradona di Paolo Sorrentino e dalla fiction Rai Mare fuori. Difficile che un pm così mediatico ma mai incline alla mediazione, intollerante ai pm poco presenti in ufficio, non metta a soqquadro un avamposto di legalità, col rischio di esporlo a critiche.
Gli epigoni di Gomorra sono impossibili da estirpare senza un dialogo con la società civile (vedi la tragedia di Caivano e la «spianata», chiaro messaggio dei boss). Ha senso imbracciare con la mafia partenopea il braccio di ferro giudiziario alla law and order che in Calabria (purtroppo) non ha mai dato i frutti sperati? A che prezzo?
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