
Oggi il termometro della nostra salute sono i dazi. Sono loro a determinare il nostro umore, come è stato in passato per lo spread. Apre così Tommaso Cerno, direttore de Il Tempo, la sua intervista all'amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, alla presentazione di Moneta a Roma. «Non spaventano i dazi, ma le loro conseguenze - replica l'ad - tutto attorno a noi si muove molto velocemente e bisogna rallentare. Veniamo da un decennio di situazioni anomale, con le guerre e il Covid. I dazi rappresentano un ribilanciamento voluto da Donald Trump per inseguire la Cina, che ha impiegato una politica protezionistica per crescere. Nell'ottica americana c'è una logica, seppur dirompente. Quando ci sono eventi così eclatanti bisogna fermarsi e capire qual è il significato innanzitutto per noi, intesi non solo come Italia. Bisogna fare meno errori possibili, che possono fare più male. Prima di parlare bisogna approfondire e abbiamo tutto il tempo per farlo». Ciò che è necessario oggi è essere pronti. Prosegue infatti Descalzi: «Dobbiamo avere grande flessibilità e liquidità, anche se attualmente non ne abbiamo tanta. E, soprattutto, dobbiamo minimizzare ogni passo cercando di fare quelli corretti perché bisogna evitare un panico più generalizzato». Alcuni temi che fino a ieri sembravano di grande importanza, sottolinea Cerno, sono ormai passati in secondo piano in Europa: «C'è uno Stato amministrativo che è lontano dalle persone e che ha autorità ma non responsabilità. Se non cambiano le persone, però, difficilmente cambieranno le direzioni. Oggi parliamo dei dazi Usa, ma ci dimentichiamo che l'Europa li ha imposti, seppur indiretti, su tutta la parte del Green deal, che non può diventare l'unica componente di un credo politico, perché in questo modo non si va avanti», spiega Descalzi. Ma sono i temi che riguardano i cittadini quelli che colpiscono di più, come le bollette: «Il costo più basso è in Francia, che ha quasi il 70% di nucleare. Il secondo Paese è la Spagna, che ha il 60% di nucleare e delle rinnovabili che hanno un'efficienza superiore a quella italiana. Il nostro Paese ha il 45% di gas, un po' di idroelettrico, pochissimo carbone e tante rinnovabili. Questo mix energetico è una scelta che è stata fatta trent'anni fa e a questa si sommano gli oneri sociali, che non fanno altro che impattare sulle bollette. Non si può vivere di soli sussidi o di un'unica tecnologia. Colpisce però la Germania, che ha toccato percentuali molto alte di carbone per tenere basso il costo delle bollette, sia invece la mamma del Green deal. L'Europa, in questi anni, non ha mai avuto un piano di sicurezza energetica anche perché non tutti i Paesi si basano sul gas.
La Cina ha poca energia rispetto alla popolazione, ma ha fatto un piano su petrolio e gas, ragionando con una proiezione di trent'anni mentre l'Europa lo ha fatto solo dopo che è scoppiata la guerra con la Russia. E tutto questo si traduce in costi».
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