Il «diavolo» della Quinta Repubblica è morto. Così lo chiamavano gli avversari più accaniti, che mai gli hanno perdonato l'embrione del tripolarismo in Francia, ingenerato nel sistema dell'Esagono, intralciando il corso dei due storici partiti di governo, quello gollista e quello socialista. Certo, ci ha messo quasi mezzo secolo, Jean-Marie Le Pen; la figlia Marine ha compiuto solo di recente ciò che nei suoi 7 lustri da leone in arena pareva impossibile ai più. Eppure il cartello con la fiamma, da lui fondato Oltralpe assieme a nostalgici del maresciallo Pétain e ad ammiratori di Giorgio Almirante (adattando il tricolore che arde con il blu al posto del verde) è oggi di gran lunga il più votato di Francia con 11 milioni di preferenze alle legislative.
Lui, da tempo malato, ha visto l'exploit dell'estate scorsa da una clinica, in pessimi rapporti con l'erede politica; al punto d'aver sostenuto un altro candidato alle presidenziali, più a destra di Marine, quel Zemmour che aveva accanto la nipote Marion. Ma è dal suo partito, il Front, che è nato l'odierno Rassemblement national, e come sia emerso politicamente Jean-Marie Le Pen, fino a diventare icona, recordman di ascolti tv prim'ancora che di preferenze alle urne ed anche simbolo di ciò che la Francia delle élites respingeva e tuttora detesta, quindi da tenere ai margini, è frutto di un mix di sfortune, coincidenze e caparbietà bretone.
Spirito ribelle dal '48, sui banchi di Giurisprudenza e poi a Sciences Po, indugia tra toga da avvocato e uniforme. Si arruola unendosi ai parà nel '54, in Indocina, poi Suez e Algeria. Al rientro, le sue idee nazionaliste conquistano Pierre Poujade, populista ante litteram, che due anni dopo lo fa eleggere all'Assemblée a 27 anni. È il più giovane deputato. Per anni è però semplicemente Jean. Solo dopo il matrimonio aggiunge Marie, per rendere il nome più gradito all'elettorato cattolico. E ci riesce. Inizia la vera lotta politica, decollata nel '72 con la fondazione del Front. Secondo i cronisti dell'epoca, Le Pen è talmente burbero e rissoso che si ferirà a un occhio a margine di un comizio; finirà col perderlo e giocherà con la benda indosso sfidando per anni l'opinione pubblica con aria minacciosa. Eccolo, il «diavolo». Nato, cresciuto nonostante l'avversione bipartisan: detestato dalla destra repubblicana e temuto dai socialisti, a cui ruberà voti attaccando le delocalizzazioni delle fabbriche e difendendo, lui, gli operai.
Inizia i proclami contro la globalizzazione selvaggia, quelli sull'immigrazione dall'Africa messa in concorrenza con il milione di disoccupati francesi. Difficile restargli indifferente, specie nei (temutissimi) faccia a faccia tv. È un Giano bifronte, che negli anni '80 subisce anche la fascinazione degli Usa, fino a presentarsi come «il Reagan francese». Liberismo spinto, deregualation e comunicazione aggressiva. Figlio unico, aveva perso il padre pescatore nel '42 per una mina nelle reti del peschereccio. Un miracolo lo aveva però reso nel frattempo benestante dopo esser stato aiutato dallo Stato. Nel '76, dopo che un attentato distrusse la sua casa, un magnate del cemento gli lascia tutti i beni. Era già stato candidato all'Eliseo nel '74. E correrà per la presidenza altre 4 volte: '88, '95, 2002, l'ultima nel 2007.
Ma è nel 2002 che spariglia: dai margini dell'arco costituzionale arriva al secondo turno contro Chirac, che si era rifiutato di sfidarlo in tv, snobbandolo e per paura. Le Pen sfiora il 17% e accede a sorpresa al ballottaggio, escludendo il socialista Jospin. È un terremoto. Il cordone sanitario però tiene. Lui continua a fare il nazionalista contro l'Europa, dove era già stato eletto nell'84, con gli slogan «preferenza nazionale» rispetto agli immigrati e «Francia ai francesi». Poi il ritorno in Assemblée fino alla frase più controversa, nell'87: «Le camere a gas sono un dettaglio della storia», disse, per cui è stato definitivamente condannato nel 2018, arrivando così a 25 condanne, tra negazionismo, antisemitismo e insulti razzisti vari.
Il primo a far scalpore lo scrisse su Caravelle, il giornale del corpo di spedizione francese: «La Francia è governata da pederasti come Sartre, Camus, Mauriac». Dichiarazioni mai rinnegate. Lo hanno invece rinnegato i suoi eredi. Quando sceglie Marine, per guidare il partito, è solo presidente onorario del Front National nel 2011, finché non viene espulso contro la sua volontà nel 2015. La figlia sceglie la via della dé-diabolisation, far dimenticare il «diavolo». Che non la manda giù. Nel 2021 Jean-Marie attacca Marine in tv, predicendo per lei un futuro di decadimento. Si sbagliava. Il parricidio di certe idee paga. Lui continua a provocare: non si sente Charlie nel 2015.
«Desolato, je ne suis pas Charlie», continuando però ad attaccare l'islam. In una delle ultime apparizioni tv ha detto: «Sulla mia tomba vorrei solo il mio nome, Jean-Marie». Come José Antonio Primo De Rivera, spiegò, fondatore della Falange Española, ultracattolico, fascista e reazionario.
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