Dibba, la prima stella cadente

Alla fine Di Battista è uscito dal gruppo. Un'uscita che fa rumore. Anche se Dibba non era più centrale, anzi forse proprio perché non era più centrale.

Dibba, la prima stella cadente

Alla fine Di Battista è uscito dal gruppo. Un'uscita che fa rumore. Anche se Dibba non era più centrale, anzi forse proprio perché non era più centrale. Rappresentava una specie di carta d'identità sbiadita, e scomoda, di quello che era il Movimento 5 Stelle delle origini. Era la foto della giovinezza grillina, una di quelle immagini che quando invecchi preferisci lasciare ingiallire in un cassetto. Era la memoria scomoda di un partito che, piuttosto che arrendersi all'evidenza della propria metamorfosi, finge di avere l'Alzheimer. Il Che Guevara di Roma Nord incarnava - e, coerentemente incarna - tutti i tic dei grillini. Quelli che ora i pentastellati di governo cercano di nascondere sotto il tappeto, ma che sono ancora diffusissimi tra la base.

Di estrema sinistra, talebano dell'anticasta, filo islamico, innamorato del Sudamerica e dei suoi regimi socialisti, ossessivamente e violentemente anti berlusconiano, convinto anticapitalista, feroce oppositore di tutte le grandi opere e, ovviamente, complottista. Un'icona equa e solidale sempre in cerca di una telecamera, innamorato di se stesso e del suo ruolo di frondista all'interno della fronda. È uno, per intenderci, che raccontava così la sua giovinezza vagabonda in una mitologica intervista a Vanity Fair: «Avevo 9mila euro risparmiati durante il lavoro. E ho iniziato a fare lavoretti in giro. Ho annodato braccialetti in strada a Buenos Aires, ho pescato aragoste a Panama, venduto orecchini a Valparaíso, aiutato gli ambulanti di frutta secca a Santiago, caricato sabbia sui camion in Honduras». Capito? Ed era serio, serissimo, non c'era nemmeno un grammo di ironia nella sua auto agiografia.

Ha sempre giocato a fare il rivoluzionario e, quando il gioco si è spostato in Parlamento, è rimasto tagliato fuori. Mentre i suoi amici entravano nei palazzi del potere, lui si è messo a fare il cameriere (ovviamente a favore di fotocamera) e a girare il mondo in sandali e zainetto, con moglie e figlio al seguito, vergando lacrimevoli reportage dalle Americhe per il Fatto Quotidiano. Il videomessaggio di ieri - così denso di melanconico autocompiacimento - è l'ultimo atto del romanzo di Dibba. Ma è anche una ferita difficilmente curabile per il Movimento di Beppe Grillo.

Perché Di Battista, essendo la caricatura di un grillino, ne incarnava lo spirito più puro. E, c'è da scommetterci, qualcuno lo seguirà. I Cinque Stelle, a loro modo, hanno perso una stella. Ma è solo l'inizio di una inevitabile notte di San Lorenzo.

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