Davide Erba ha lanciato da Monza la sfida ai colossi Apple e Samsung creando il primo smartphone tutto italiano di fascia alta e vendendolo a prezzi aggressivi. Ma più che dalla Brianza, l'avventura di Erba - classe 1980 - è cominciata dalla Cina. Dove, poco più che ventenne, ha iniziato a lavorare su sistemi di rilevamento di alta precisione. Fino al 2010 quando è tornato in Italia e si è messo in proprio lanciando la sua start up: la Stonex, specializzata negli scanner 3D. Poi, il grande salto nell'elettronica di consumo con la nuova versione del telefonino Stx, concepito, ingegnerizzato e testato in Italia ma assemblato con componenti primari nel Guangdong. Per questo Erba conosce bene le complicate dinamiche del Paese che sta facendo tremare le Borse. Ma che, ci spiega, deve fare anche i conti con una profonda crisi interna.
Come è cambiata l'economia cinese rispetto a quando il Pil macinava il +7% e quali sono stati i settori più colpiti?
«In Cina negli ultimi mesi abbiamo assistito ad una speculazione incredibile. Basti pensare alle ipervalutazioni dei titoli di numerose società quotate. In molti settori di nicchia alcuni società hanno raggiunto dei valori di quotazione pari anche a 200 volte il margine operativo lordo, in alcuni casi 10 volte più alti rispetto alle società omologhe quotate in Europa e negli Stati Uniti. L'economia cinese ha subìto una marcata decelerazione negli ultimi 2-3 anni e la forte bolla speculativa nell'edilizia è servita per poter supportare la crescita e con essa tutti i settori dipendenti dalle costruzioni. Quello delle costruzioni è un settore molto in affanno ma non è l'unico responsabile della crisi cinese. Il settore manifatturiero, fortemente dipendente dall'estero, ha subito una battuta d'arresto, specialmente per quanto riguarda i settori a basso valore aggiunto».
Perché alcune zone e comparti del Paese non sono riusciti a fare il salto tecnologico?
«La Cina ha sicuramente avuto una grande intuizione, dopo l'apertura voluta da Deng XIao Ping, ovvero quella di avviare una vera e propria rivoluzione industriale, attraendo multinazionali estere. Gradualmente le imprese occidentali, per poter competere su scala globale, sono state obbligate a delocalizzare la produzione o aprendo propri stabilimenti o appoggiandosi a fabbriche terziste a capitale cinese. Questo approccio ha ottenuto il risultato di creare una fortissima crescita della produzione industriale e del know-how locale. D'altro canto, questo processo nel corso degli anni ha scatenato una grande concorrenza interna per potersi accaparrare le commesse. I settori a minor valore aggiunto sono stati i primi ad andare in grande difficoltà».
Con quali conseguenze?
«Per scelta, le imprese cinesi hanno optato per questo tipo di approccio, rinunciando però a consolidare il mercato attraverso propri brand. Nel lungo periodo ciò ha impedito alle aziende locali di raggiungere ricavi importanti e le ha così esposte a rischi sempre maggiori, per via della concorrenza e della scarsa riconoscibilità dei marchi».
Abbiamo sottovalutato la portata di questa crisi che arriva da lontano ma che ci riguarda così da vicino?
«Assolutamente sì. Quel che mi ha stupito è che mentre il mondo dell'informazione si occupava di Atene, il mercato azionario cinese perdeva dieci volte tanto. La Cina, in termini di Pil e di potenza economica pesa molto più della Grecia».
Intanto Stonex cresce in Italia: quali sono i prossimi progetti?
«Per il
nostro smartphone abbiamo creato un modello distributivo solo via web e un'interfaccia basata su Android fatta in Italia. Stiamo lavorando per nuovi prodotti IT con la stessa filosofia. Ma presto ci saranno altre sorprese».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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