Un errore burocatico aggravato dalla disattenzione dell'organizzazione umanitaria che - dopo aver aiutato la famiglia nelle pratiche di ricongiungimento - non si sarebbe curata di avvertirla di mandare i propri quattro figli al Consolato di Pechino anziché a quello di Shanghai indicato sui nulla osta rilasciati dalla Prefettura di Latina. Così fonti del nostro ministero degli Interni si difendono dall'accusa di non aver seguito con la dovuta attenzione il caso dei minorenni Yehya, Muhammad, Zumeryem e Shehide.
Come raccontato ieri da Il Giornale nel giugno 2014 i quattro ragazzini, tutti minorenni e figli di una famiglia uigura rifugiata in Italia da cinque anni, sono stati deportati in un orfanotrofio lager dopo aver inutilmente tentato di ottenere un visto dal nostro consolato di Shanghai. Un visto che spettava loro di diritto in base al nulla osta rilasciato loro dalla Prefettura di Pechino.
«A causa di un errore nelle procedure interne - spiega a Il Giornale una fonte della Farnesina - il nulla osta è stato mandato per procura a Shanghai e non a Pechino, competente per tutti i residenti della provincia dello Xinjiang. Poi la pratica è stata riassegnata a Pechino e la nostra ambasciata ha avvertito l'organizzazione che si era occupata dei nulla osta.
Ma l'informazione non è stata girata alla famiglia e dunque i figli sono partiti per Shanghai. Ma il nostro consolato non ha alcuna responsabilità. Non sapeva neppure del loro arrivo».
La stessa fonte si preoccupa anche di far
sapere che il ministro Luigi Di Maio, messo al corrente dell'accaduto sta cercando di rimediare a quei drammatici errori. «Il ministro - assicura la fonte - vuole che quei ragazzi e tutta la famiglia ricevano protezione in Italia».
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