“È una situazione inusuale, ma per Mario Draghi, almeno stando alle ultime dichiarazioni, il suo governo non esiste senza il sostegno del M5S". Il giurista Giovanni Guzzetta, docente di Istituzioni di diritto pubblico all'Università Tor Vergata di Roma, spiega a ilGiornale.it quale sarà l'iter della crisi di governo che la settimana prossima verrà 'parlamentarizzata'.
Cosa succede mercoledì?
“Mercoledì ci saranno le comunicazioni del presidente del Consiglio, ci sarà un dibattito e, sulla base dei precedenti, abbiamo di fronte due possibilità. La prima è che il premier prenda atto che non ci sono le condizioni per proseguire l'attività di governo. La seconda prevede che vi sia stato un chiarimento all'interno della maggioranza e, quindi, Draghi possa ottenere un voto di conferma della fiducia”.
Ma è previsto un voto di fiducia oppure si votano delle risoluzioni?
"Si voteranno delle risoluzioni, ossia degli atti di indirizzo del Parlamento che normalmente non sono un voto di fiducia, ma nella prassi vengono usate per confermare la fiducia nel governo. Anzi, di solito, il governo pone la questione di fiducia su una delle risoluzioni presentate in Parlamento”.
Ma chi decide su quale risoluzione votare?
“Il presidente del Consiglio ha la facoltà di scegliere su quale risoluzione porre la questione di fiducia. Queste risoluzioni, infatti, in genere, vengono presentate dalla maggioranza e hanno come contenuto la conferma della fiducia al governo”.
Dal punto di vista costituzionale, non sarebbe strano se Draghi confermasse le sue dimissioni dopo aver ricevuto nuovamente la fiducia della sua maggioranza?
“Credo che questa circostanza, nei fatti, non si possa realizzare perché, nel momento in cui Draghi si rendesse conto di non avere la fiducia dei Cinquestelle e continuasse a ritenere che il loro appoggio sia fondamentale per la sua permanenza in carica, non aspetterebbe l'esito di una votazione, ma andrebbe direttamente al Quirinale per dimettersi”.
Si dimetterebbe, dunque, pur avendo i numeri per governi...
"La maggioranza, infatti, non è solo un dato numerico, ma anche politico tant'è vero che la mozione di fiducia, al momento della nascita di un governo, è motivata dal fatto che un esecutivo dipende anche dalla formula politica su cui si basa”.
Non è, quindi, obbligatorio che vi sia un voto di sfiducia?
“Nella storia parlamentare italiana, i casi in cui un presidente si sia dimesso a seguito di un voto di sfiducia sono solo 2 du 74, ossia Prodi nel '98 e nel 2008. In tutti gli altri casi è nata per le dimissioni volontarie del presidente del Consiglio. Anche in occasione della caduta del governo gialloverde, Conte andò al Quirinale per dimettersi senza aspettare neppure che venisse votata la mozione di sfiducia presentata dalla Lega”.
Che differenza c'è tra il Papeete di Salvini e quello di Conte?
“Salvini era deciviso sul piano numerico per quel governo, credeva che non sarebbe nata una maggioranza alternativa e che, quindi, ci sarebbero state le elezioni. In questo caso, invece, Conte non è decisivo per il governo”.
E in cosa differisce questa crisi estiva da quelle della Prima Repubblica che portava alla nascita dei governi balneari?
“Quelle erano crisi legate alla ridefinizioni dei rapporti di forza tra gli alleati o, addirittura, all'interno di un singolo partito, la Dc, e avevano una funzione di decantazione. In questo caso, invece, mi pare che i nodi politici siano più profondi”.
Quali potrebbero essere le mosse del presidente Mattarella?
“Non saprei. Dal punto di vista costituzionale, il presidente della Repubblica svolge un ruolo molto attivo in tempi di crisi. Attivo perché la Costituzione gli attribuisce il compito di far di tutto perché il sistema possa funzionare e si possa formare un governo. Certo, se Mattarella registra l'impossibilità di formare un nuovo governo, allora è tenuto a procedere allo scioglimento del Parlamento”.
Non è tenuto a fare l'ennesimo giro di consultazioni?
“Dal punto di vista costituzionale è tenuto a sentire i presidenti delle due Camere. Per quanto riguarda le consultazioni, da Scalfaro in poi, la prassi vuole che i presidenti della Repubblica facciano ogni tentativo per dar vita a un governo e di ricorrere alle urne solo come extrema ratio. È anche vero che siamo in un momento molto eccezionale e, quindi, tale prassi potrebbe essere considerata non vincolante da Mattarella”.
Il presidente della Repubblica potrebbe respingere di nuovo le dimissioni di Draghi?
“Si aprirebbe una crisi di sistema. È una circostanza che non si è mai verificata. Solitamente il Capo dello Stato ha sempre e solo registrato la volontà del premier di cessare il suo mandato. Non ritengo sia un'ipotesi plausibile che Draghi resti a Palazzo Chigi contro la sua volontà, mentre certamente ha il dovere costituzionale di assicurare il disbrigo degli affari correnti.
Sicuramente Mattarella, considerando la situazione politica, può insistere perché torni sui suoi passi, ma non può negargli la possibilità di dimettersi. Sarebbe un fatto alquanto drammatico ed escluderei che possa succedere”.
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