Il precipitare degli eventi negli ultimi giorni a Taiwan dopo la visita della speaker della Camera statunitense Nancy Pelosi e la reazione della Cina, apre una riflessione di carattere non solo geopolitico e militare, ma anche economico. E interessa da vicino l'Europa. In seguito all'entrata della Cina nell'Organizzazione mondiale del commercio (Wto) nel 2001, l'Occidente si è sempre più affidato all'import cinese dismettendo progressivamente interi settori industriali in nome delle convenienza economica e di una maggiore marginalità. Un processo avvenuto non solo chiudendo gli occhi sul rispetto dei diritti umani e dei lavoratori, ma anche con una visione a breve termine senza pensare che i cinesi si sarebbero impossessati del know how occidentale mettendosi in proprio. Così, in neanche vent'anni, la Cina è diventata la seconda economia mondiale anche grazie alla sottovalutazione occidentale di una civiltà millenaria da sempre dedita al commercio. Questo modus operandi ci ha portato a delocalizzare e dismettere anche i settori strategici con il risultato che ora dipendiamo dalla Cina per intere catene di produzione.
Così, se i cinesi dovessero interrompere o diminuire l'export verso l'Europa in settori chiave, gli effetti sulla nostra economia sarebbero devastanti. Si obietterà che non conviene neanche alla Cina fare a meno di un mercato come quello occidentale, ciò è vero in tempi normali, ma non in un periodo di guerra. Inoltre, per quanto il nostro rimanga il principale mercato al mondo, non è l'unico e ci sono altri paesi in forte crescita. Se la situazione a Taiwan dovesse precipitare con un'invasione cinese e una reazione occidentale, Xi Jinping non avrebbe remore a utilizzare l'economia come un'arma bloccando le nostre catene produttive e adottando una strategia analoga a quella della Russia con l'energia.
Nonostante negli ultimi anni sia aumentata la consapevolezza del pericolo che la Cina rappresenta (in numerose occasioni il governo italiano ha esercitato il golden power per bloccare acquisizioni di aziende strategiche), invece di imparare dagli errori del passato, perseveriamo e ci stiamo legando mani e piedi alla Cina nella transizione ecologica. Nella foga ideologica di dismettere il motore endotermico entro il 2035, distruggendo un'eccellenza italiana come il settore dell'automotive, ci affidiamo alle batterie realizzante con litio e cobalto i cui principali giacimenti al mondo sono di proprietà cinese. C'è poi una grande contraddizione di fondo: le batterie esportate in Occidente per inquinare di meno, sono prodotte in fabbriche la cui energia arriva dalle centrali a carbone che abbondano in Cina. Non va meglio nel settore delle rinnovabili (pannelli solari e pale eoliche), le cui componenti sono realizzate con le terre rare, minerali di cui la Cina detiene il monopolio.
Intanto il Dragone si prepara a un'economia di guerra comprando e
stoccando minerali e cereali, tutti segnali che l'Occidente e l'Europa non possono permettersi di sottovalutare; una strategia errata in questa fase geopolitica delicatissima, potrebbe risultare fatale per la nostra sicurezza.
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