In Natale in casa Cupiello Eduardo De Filippo allestisce come meglio può un presepe. Dopo di che domanda al figlio: «Ti piace il presepe?». E lui, con un'espressione indisponente, risponde: «No, non mi piace». Per spirito di contraddizione. Allo stesso modo si stanno comportando le opposizioni nei confronti di una modifica della forma di governo. A costoro non piace il presepe del presidenzialismo all'americana, non piace il presepe del semipresidenzialismo alla francese e non piace neppure il presepe del premierato all'italiana. A dispetto del fatto che un tempo non erano affatto contrarie a un'ipotesi del genere. Ora dipingono questa forma di governo prospettata dal ministro per le Riforme Casellati, che ancora non si è pronunciata sui dettagli, come l'ottava piaga d'Egitto. Perché mai? Elementare, Watson: perché la ricetta non la propongono loro. Ai politici e ai politologi di sinistra adesso si sono aggiunti noblesse oblige il fior fiore dei costituzionalisti d'area.
Così uno sconsolato Gaetano Azzariti su il Fatto Quotidiano del 30 agosto denuncia che la riforma farà tre vittime: il Parlamento, perché se cade il governo farà harakiri in quanto sarà sciolto; il presidente della Repubblica, perché gli verranno sottratte prerogative fondamentali come la nomina del governo e lo scioglimento anticipato delle Camere; il corpo elettorale, perché con una riforma elettorale maggioritaria gli elettori non avranno tutti lo stesso peso.
Sullo stesso quotidiano il giorno dopo si esibisce Michele Ainis. Ma non ha il dono dell'originalità. Dopo aver premesso che non gli piacciono le tifoserie incrociate, non la vede in maniera diversa da Azzariti.
Dulcis in fundo, ha detto la sua su La Stampa di giovedì il presidente emerito della Corte costituzionale Gaetano Silvestri. Pure lui vede nero. Immagina due scenari apocalittici: o il rischio di un irrigidimento autoritario o il rischio di uno scontro istituzionale permanente.
Tante intelligenze sprecate. Perché le loro ardite tesi sono smentite ogni giorno dai fatti. Parliamoci chiaro: mentre si discute di premierato, il premierato lo abbiamo già sotto gli occhi. Ed è interpretato al meglio da Giorgia Meloni. L'inquilina di Palazzo Chigi è diventata tale grazie al voto popolare. Il pallino dell'eventuale scioglimento anticipato delle Camere, in mancanza di alternative, starà in definitiva nelle mani del presidente del Consiglio.
Orbene, vi sembra che nonostante il premierato di fatto Mattarella sia
diventato un re Travicello? È consultato, incoraggia, mette in guardia. Un arbitro. Un interlocutore autorevole di Palazzo Chigi. E tale rimarrà anche quando la riforma, se ci sarà, entrerà in vigore la prossima legislatura.
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