Djokovic libero: "Ora voglio giocare"

Il tribunale di Melbourne dà ragione al tennista, che si è già allenato: "Resto qui"

Djokovic libero: "Ora voglio giocare"

La vittoria in bella mostra in una fotografia che fa ribollire il sangue a chi davanti a Novak Djokovic non riesce più a vedere il campione di tennis ma un semplice furbetto no vax. È già sera inoltrata e sul campo c'è lui racchetta in mano, il coach Goran Ivanisevic, il preparatore atletico Marco Panichi e il fisioterapista argentino Ulises Badio. Melbourne Park, Australia. Dopo quattro giorni di tensioni, polemiche e dibattiti che hanno sfiorato la crisi diplomatica e coinvolto l'opinione pubblica mondiale il tennista serbo si è goduto il suo primo allenamento in terra australiana. Novak ce l'ha fatta per ora. Non appena il tribunale gli ha concesso la libertà di spostamento all'interno del territorio australiano ha chiesto e ottenuto dall'organizzazione dell'Australian Open l'ok per andare in campo. E lo ha mostrato a tutti. I sostenitori no vax di tutto il mondo si sono uniti in un corale applauso via social degno di un martire moderno. Lui avrebbe dovuto collegarsi con la conferenza a Belgrado, ma ha preferito rispondere con lo scatto via twitter ben più d'impatto. «Sono felice e grato che il giudice abbia annullato la cancellazione del mio visto le parole social di Nole . Nonostante tutto quello che è successo voglio restare e partecipare all'Australian Open. Voglio concentrarmi su questo. Grazie a tutti per l'appoggio. Per ora non posso dire di più, ma grazie. Grazie perché mi avete dato la forza».

A una settimana dal via degli Open d'Australia, 17 gennaio, Djokovic è un po' più vicino alla possibilità di difendere il titolo, ma non ne ha ancora la certezza. Il tribunale di Melbourne ha infatti annullato la revoca del suo visto. Espulsione sospesa, ma il ministero dell'Immigrazione si è riservato l'ultima parola atesa tra poche ore. Intanto il mondo resta diviso in due, tra chi lo critica e lo biasima per le scelte no vax, e chi lo esalta a paladino della libertà. C'è il sostegno compatto del suo Paese che riaccende il fuoco del nazionalismo orgoglioso che non si è mai spento; qui dove lo scetticismo sui vaccini ha fermato la corsa all'immunizzazione già da quest'estate. La Serbia è fanalino di coda in Europa e meno del 50 per cento ha una sola dose e a poco o niente sono serviti gli incentivi economici promessi dal governo. Ha prevalso come in altri Paesi dell'Est europeo il sospetto che il vaccino sia l'iniezione del diavolo; convinzione sostenuta anche tra gli ambienti ecclesiali.

Novak ha potuto contare sull'appoggio dello stesso Patriarca: «Preghiamo per te». Uniti e compatti come nella difesa di un martire c'è poi la famiglia schierata. Il fratello minore ha voluto ringraziare «tutto il mondo. Inoltre grazie al giudice Kelly, che è stato meticoloso e neutrale, nonostante il sistema giudiziario australiano fosse sotto enorme pressione, visto che il mondo intero stava guardando. Novak è stato etichettato molte volte, ma tutto ciò che rappresenta è la libertà di scelta. Giustizia è stata fatta». Accanto a lui, anche il papà Srdjan: «Gli sono stati tolti i diritti da essere umano». E c'è la mamma Dijana che con un fervore al limite del mistico ha ricordato a tutti: «Non ha fatto niente di male, né infranto la legge.

Siamo qui per festeggiare la giustizia e la più grande vittoria della sua carriera». Alla domanda su cosa sia successo dopo il 16 dicembre, giorno della positività di Djokovic al Covid, però, Djordje è stato lapidario. «L'intero processo è stato pubblico e tutti i documenti sono pubblici».

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