In ogni tragicommedia che si rispetti, ci sono personaggi e interpreti che fanno a gara per rubarsi la scena. La partita stato dell'Australia contro Novak Djokovic avrà quindi nuove puntate, ma intanto la situazione vede il numero uno del mondo ancora a Melbourne, rinchiuso nel Park Hotel Carlton che non è proprio di quelli a cui lui è abituato. Si tratta infatti dell'albergo in cui la polizia di frontiera alloggia le persone il cui visto è in attesa di giudizio per guardarli a vista. Novak è insieme a chiedenti asilo, clandestini e altre categorie, perché il governo australiano quando si tratta di immigrazione è abbastanza nervoso. E tratta tutti uguale.
E insomma: il rivoluzionario più famoso del tennis è rinchiuso lì dentro e ha potuto parlare due volte con il presidente serbo Aleksandar Vukic, il quale ha chiesto al premier Scott Morrison l'immediato rilascio del prigioniero. Già, perché a Belgrado l'hanno messa subito come fosse una guerra (il primo ministro Ana Brnabic ha detto che «questa provocazione politica temo continuerà, visto che non possono sconfiggere Novak in altro modo»), e papà Srdjan Djokovic si è spinto a riscrivere la storia. Prima paragonando il figlio a Spartaco (però l'antico eroe era il primo tra i reietti e non viaggiava di sicuro in prima classe) e poi andando oltre: «Nole è come Gesù: lo hanno crocefisso».
Ma tant'è: lo show continuerà fino a lunedì, il giorno della decisione del giudice Anthony Kelly chiamato dai legali del numero uno del mondo a rettificare la decisione di espulsione per via del visto sbagliato. Possibile che abbiano qualche ragione, visto che per addentrarsi tra le regole dei lasciapassare australiani bisogna essere un abile solutore della Settimana Enigmistica. Ma si sa comunque che di elasticità in materia laggiù ce né poca. Per dire: qualche anno fa il governo minacciò di uccidere i cani dell'attore Johnny Depp, entrati nel Paese con un jet privato senza fare la quarantena. E non scherzava affatto. La tragicommedia insomma non ha ancora un finale certo, ma non manca il pathos. Sotto le finestre dell'hotel-prigione ad un certo punto è scoppiato il caos: ai 12 tifosi serbi che urlavano l'innocenza del loro idolo si sono a un unite decine di manifestanti pro rifugiati, e a quel punto la polizia ha dovuto chiudere la strada e mettersi in assetto da battaglia.
Poi ci sarebbero anche gli Australian Open, il cui inizio è previsto il 17 gennaio. E per ingannare il tempo il capo di Tennis Australia Craig Tiley continua a infilare perle quotidiane. Intanto è venuto fuori che la polizia di frontiera sta indagando su due altre due esenzioni concesse a un giocatore e un arbitro. E poi, saputo dello slittamento del verdetto a inizio settimana prossima, Tiley ha fatto sapere di voler una risposta definitiva entro martedì. Al che il giudice gli ha riposto con un mitologico «non è la coda che fa scodinzolare il cane».
In tutto questo, ha parlato finalmente Rafa Nadal, lui tranquillo ad allenarsi a Melbourne Park: «È normale che la gente qui sia nervosa, dopo aver avuto un duro lockdown per mesi. La cosa chiara per me è che se sei vaccinato puoi giocare qui e nel mondo. Ognuno fa il suo mestiere: se li scienziati mi dicono che il vaccino è sicuro, io lo faccio.
Novak? Rispetto le scelte e la libertà di tutti. Ma se uno non si vuole vaccinare, sa che ci sono delle conseguenze. Il mondo ha sofferto già troppo per non aver seguito le regole». Vai a vedere che alla fine il vero rivoluzionario è lui.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.