Per avvolorare lo "stato di necessità" ed far entrare la Alex nel porto di Lampedusa forzando il divieto della Guardia Costiera (guarda il video), il capitano Tommaso Stella e il capomissione Erasmo Palzzotto ne hanno sparate di tutti i colori, dalla mancanza di acqua a bordo alle carenti condizioni sanitarie dei quanranta immigrati. Ma la verità è un'altra. Dal ministero dell'Interno è, infatti, trapelata una mail che svela tutte le pretese dell'equipaggio dell'ong Mediterranea Saving Humans e le mire (politiche) della missione al largo della Libia (qui il documento integrale).
"Il Viminale non ha agito da solo e non ha rifiutato la collaborazione di altri ministeri, a partire dalla Difesa", ci spiegano fonti del ministero dell'Interno. Il capitano della Alex aveva un dialogo aperto sia con la Guardia di Finanza sia con la Guardia Costiera. "Il problema - lamentano le stesse fonti - è che la barca della ong si è sempre rifiutata di entrare in acque maltesi e pretendeva di essere accompagnata dalle autorità italiane fino a 15 miglia nautiche da La Valletta, per poi allontanarsi immediatamente ed evitare i controlli e la legge di un paese membro dell’Unione europea". È per questo che le operazioni si sono bloccate, costringendo i quaranta immigrati irregolari, che si trovavano a bordo della nave presa in affitto da Mediterranea Saving Humans, a inutili ore di attesa in mezzo al Mar Mediterraneo. A dimostrarlo c'è una mail della stessa ong in cui tenta di imporre cinque condizioni alle autorità italiane e malesi. Oltre a dettare l'orario di partenza ("entro e non oltre le 22 odierne") e il numero delle persone a bordo, il capomissione Palazzotto pretendeva che "l'operazione di trasferimento" sulle "unità delle forze armata" della Valletta avvenisse "tassativamente a 15 miglia nautiche di distanza dalle coste dell'isola, in acque internazionali" e che vi fosse "la precisa garanzia che nessuna azione coercitiva" sarebbe stata assunta "nei confronti della nave da parte delle stesse autorità maltesi e italiane". Quello che cercavano, insomma, non era la salvezza delle persone che avevano a bordo, ma l'impunità per il capitano e l'equipaggio. Sapevano, infatto, di aver infranto diverse leggi e che per questo potevano essere perseguiti, come è stato poi fatto.
Sin dalle prime fasi di confronto, al Viminale è stato sin troppo chiaro che l'obiettivo della ong non fosse quello di raggiungere un accordo. Tra le richieste scritte nella mail, che trovate nella foto, c'erano anche che le "necessarie attività di controllo e identificazione" avrebbero dovuto "svolgersi in alto mare" e che, al termine di queste, la Alex avrebbe dovuto "fare ritorno immediatamente" nel porto di Licata, in provincia di Agrigento. Dal punto di vista del ministero dell'Interno, l'arrivo della barca sull'isola era "irrinunciabile". Diversamente, le nostre Forze Armate si sarebbero trasformate in "tassisti del mare a servizio della ong", un brutto film che era già andato in onda prima che Matteo Salvini arrivasse al governo e che aveva fatto moltiplicare gli sbarchi in Italia. "Il rispetto per i militari italiani da parte del ministero dell'Interno è totale - ci spiegano le stesse fonti - proprio per questo ritiene debbano essere utilizzati per compiti coerenti con la propria missione, come la protezione della legge e dei confini".
La Guardia di Finanza e la Marina Militare avrebbero potuto intervenire su Alex, sgravandola dagli immigrati a bordo, a patto che la ong arrivasse nel porto della Valletta. Invece, il capo missione e il capitano della ong fodata da Luca Casarini hanno preferito perdere ore di tempo in mezzo al Mediterraneo per pretendere, appunto, l'impunità.
"Invocare lo 'stato di necessità' - fanno infine notare dal ministero dell'Interno - è servito a Stella a forzare i confini nazionali confidando in un orientamento benevolo della magistratura". E, visto come è andata a Carola Rackete con l'assalto della Sea Watch 3 al porto di Lampedusa, potrebbe anche avere la meglio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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