Donald, sanzioni contro Pechino: Hong Kong tradita Usa via dall'Oms

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Donald, sanzioni contro Pechino: Hong Kong tradita Usa via dall'Oms

Sanzioni contro funzionari cinesi e di Hong Kong direttamente coinvolti nell'attuazione delle nuove leggi liberticide decise a Pechino, che sono «una chiara violazione degli impegni che la Cina deve mantenere per altri 27 anni». La Cina usa il pretesto della sicurezza, ma in realtà ha deciso di abbandonare l'impegno a rispettare la formula «Un Paese, due sistemi» sostituendolo con «Un Paese, un sistema»: il suo. Quello che Xi Jinping ha deciso contro la libertà dei cittadini della ex colonia britannica è «una tragedia per i popoli di Hong Kong, della Cina e in verità di tutto il mondo».

È un colpo durissimo alla Cina accusata nella premessa del discorso di sistematica scorrettezza contro gli Usa, di cui il dilagare dell'epidemia negli Usa sarebbe la prova più grave - quello che Donald Trump ha sparato ieri dal giardino della Casa Bianca in un clima drammatico per gli Stati Uniti, mentre imperversa il Covid ed esplodono disordini a Minneapolis. Il tema l'aveva annunciato lui stesso già giovedì scorso, dopo aver mandato avanti il suo segretario di Stato Mike Pompeo con la dichiarazione choc di non voler più considerare Hong Kong autonoma da Pechino, e lo aveva ribadito ieri mattina con un tweet sibillino a caratteri cubitali: «CHINA!». Gli Stati Uniti hanno anche annunciato di avere «terminato» le loro relazioni con l'Organizzazione mondiale della sanità, troppo nelle mani di Pechino.

Trump ha atteso per tenere la sua informativa un'ora in cui fosse notte in Estremo Oriente, e in cui le Borse fossero chiuse. Era consapevole che le conseguenze delle sue parole sarebbero state pesanti. Il governo filocinese di Hong Kong aveva subodorato le sue intenzioni e aveva lanciato un avvertimento alla Casa Bianca: «Ogni sanzione diretta contro Hong Kong si rivelerebbe un'arma a doppio taglio che danneggerà anche gli interessi degli Stati Uniti». È ovvio che Trump debba tener conto delle complesse ricadute che potranno avere sanzioni applicate alla stessa Cina. Ma ormai il livello del contrasto tra Washington e Pechino è arrivato talmente in alto da costringere a prendere in considerazione rischi che fino a pochi mesi fa sarebbero apparsi inconcepibili.

Toni assai più prudenti, ma anche scelte chiare da parte almeno di alcuni Paesi europei. Londra soprattutto, che fino al 1997 è stata potenza coloniale a Hong Kong. Il premier Boris Johnson non solo ha in animo di organizzare un'alleanza tra dieci democrazie occidentali (i G7 più Australia, India e Sud Corea) allo scopo di aggirare il monopolio Huawei sulle forniture 5G, ma ha fatto sapere che il suo governo è pronto a offrire ai residenti della ex colonia che lo desiderassero la concessione di visti. Anche Berlino si aspetta che Pechino rispetti l'autonomia di Hong Kong e lo stato di diritto.

Dalla Cina arrivano messaggi ambigui. Da una parte toni duri e minacce, soprattutto contro «i separatisti di Taiwan» sostenuti da Washington: «Se tutti gli sforzi per una riunificazione pacifica dovessero fallire ha detto in Parlamento uno dei più alti generali cinesi noi non promettiamo di rinunciare all'uso della forza».

Dall'altra, nelle parole dello stesso premier Li Keqiang, l'offerta di collaborazione economica all'America di Trump: «Le nostre economie sono interconnesse, continuiamo a prosperare insieme». Ma dopo il discorso di Trump, nulla è più sicuro.

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