"Le donne iraniane non tornano indietro"

La scrittrice: non vogliono recitare un ruolo. Le madri erano ribelli ma in segreto

"Le donne iraniane non tornano indietro"

Nava Ebrahimi nel suo Sedici parole (Keller editore) racconta del viaggio della protagonista Mona verso la conoscenza delle proprie origini, la storia di famiglia, e i molti segreti di cui è sempre stata all'oscuro. Attraverso sedici parole, una per ogni capitolo del romanzo, la scrittrice ci conduce in un cammino magico nel cuore dell'Iran, un Paese pieno di enigmi. Racconta di un mondo popolato da donne forti, di uomini e sogni, di sconfitte e amori segreti. E riconosciamo nelle sue pagine lo stesso Iran che in questi mesi è sceso in strada e in piazza per lottare per la propria libertà, la propria dignità e i propri sogni.

Il suo Iran lo trova cambiato alla luce dei fatti accaduti dopo la morte di Mahsa Amini?

«La società iraniana cambia velocemente perché la popolazione è giovane, molti hanno meno di 30 anni, e hanno un buon livello di istruzione, sia gli uomini sia le donne. Amano essere connessi con il mondo, usano internet e ogni opportunità tecnologica. I giovani sono aperti di mente e attratti da tutto ciò che è proibito, ad esempio i film di Hollywood e sono velocissimi nell'ottenerli. C'è differenza tra la vita privata e quella pubblica. Nella vita privata la religione spesso non gioca un grande ruolo. Gli iraniani vivono una specie di doppia vita. E ora anche loro vogliono una vita pubblica che assomigli alla loro visione del mondo. Un manifestante ho letto che ha detto: «Possiamo scegliere di morire ora o di morire per tutta la nostra vita». Un altro slogan delle proteste è: «Non avere paura, non avere paura, ora siamo tutti insieme». Uomini, donne, curdi e beluchi, persone con religione diversa, lavoratori, studenti, sono tutti insieme contro il regime».

Le ragazze iraniane sono simili alla nonna di Mona, testarda e orgogliosa?

«La nonna di Mona è davvero una tipica donna iraniana. Vuole godersi la vita, essere sexy e autonoma. Ci sono molte regole in Iran su come una donna si debba comportare, ma in segreto le iraniane vivono la loro vita. Le generazioni di mia madre e di mia nonna anche loro erano ribelli, ma di nascosto, in segreto. Le giovani oggi non vogliono recitare un ruolo. Non vogliono essere punite perché vogliono vivere liberamente. E pare che le iraniane stiano contagiando le afghane che anche loro ora si ribellano».

Come è stato il confronto con le sue origini?

«Io sono cresciuta in una sorta di doppia vita, una in casa con la mia famiglia, e l'altra pubblica, a scuola, all'università in Germania. La mia famiglia proviene da una classe sociale alta. E quando noi siamo arrivati in Germania c'è stato un gap tra come la mia famiglia considerava se stessa e come qui eravamo visti, cioè come degli immigrati».

L'Iran perché è così enigmatico?

«Molte cose in Iran sono discusse in segreto, c'è questa tradizione di non mostrare tutto di sé. Ad esempio se una persona è invitata a casa di un'altra non può fare qualsiasi domanda o esprimere i suoi gusti o rifiutare alcuni cibi. Per gli Occidentali forse questo non è sincero. Ma sono le nostre tradizioni e la nostra educazione».

Secondo lei questa rivoluzione è diversa dalle altre?

«Ogni rivoluzione è unica, però in questa manca un leader, un'organizzazione. Ciò che è chiaro è che non si vuole più questo regime. C'è sofferenza e pressione di ogni tipo anche economica. La morte di Mahsa Amini è stata la goccia. Le iraniane hanno pensato che quello che è accaduto a Mahsa sarebbe potuto accadere a ognuna di loro o alle loro soerelle».

Lei sente che ci sono i presupposti per un cambio di regime?

«Forse la strada sarà lunga, ma secondo me non c'è più modo di tornare indietro, gli iraniani sono così disperati e scontenti.

Tutte le persone uccise, messe in carcere, le esecuzioni. Non si può dimenticare ciò che è successo. Anche se non si sa come andrà a finire, dipenderà pure da come si comporteranno gli Stati Uniti, l'Europa e la Russia».

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