Venezia. Il fascismo è un orrore. Ma anche un'ossessione. La riprova è quanto sta accadendo alla mostra del cinema di Venezia, dove il giorno dell'inaugurazione, in una sezione collaterale del festival, è passato, inizialmente sottotraccia, poi facendo esplodere un caso politico, il documentario «Marcia su Roma» del regista irlandese Mark Cousins. Il quale portando sullo schermo gli inganni del fascismo di ieri non ha perso l'occasione di aggiungerci in coda quelli a suo giudizio - di oggi, trascinando nel documentario fotogrammi dei leader delle destre europee e americane, fra i quali Giorgia Meloni. Operazione già pretestuosa in tempi normali (peraltro il documentario fino a quando parla del Ventennio è dal punto di vista storico e artistico interessante), ma propagandistica in tempi di campagna elettorale. E infatti Fratelli d'Italia ha criticato duramente la scelta di presentare a Venezia Marcia su Roma, che poi uscirà nelle sale italiane il giovedì prima delle elezioni. È vero: il documentario era già chiuso prima che si sapesse che avremmo votato a settembre; ma poi però nessuno alla Biennale si è posto il problema se fosse opportuno ospitarlo in periodo di par condicio.
Ha sintetizzato tutto Rita dalla Chiesa, ieri: «Io mi ero rassegnata al blocco della fiction su mio padre perché c'è una legge, ma poi vedere che a Venezia permettono la presentazione di un documentario come Marcia su Roma lo trovo poco equo». Un paradosso e insieme il solito gioco dei due pesi e delle due misure. E se in astratto ha ragione il direttore del festival Alberto Barbera quando dice che «la Mostra del Cinema è uno spazio di libertà d'espressione, ospitiamo tutti, e la responsabilità di quello che viene detto è dell'autore che ha realizzato l'opera», in pratica si è dato via libera a un docufilm che, dichiaratamente politico, diventa un manifesto elettorale. Quando non si potrebbe.
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