Ma Draghi frena su nuovi interventi: non ci sono risorse. L'attesa per le scelte dei ministri dell'Ue

Sei mesi dopo l'inizio della guerra in Ucraina, qualcosa si muove a Bruxelles. Sia sul fronte della riforma del mercato dell'elettricità che sul cosiddetto price cap, il tetto europeo al prezzo del gas

Ma Draghi frena su nuovi interventi: non ci sono risorse. L'attesa per le scelte dei ministri dell'Ue

Sei mesi dopo l'inizio della guerra in Ucraina, qualcosa si muove a Bruxelles. Sia sul fronte della riforma del mercato dell'elettricità che sul cosiddetto price cap, il tetto europeo al prezzo del gas. Su entrambe, Draghi si è speso con forza e ripetutamente da quando - lo scorso 24 febbraio - la Russia ha attaccato Kiev, dando il via non solo al primo conflitto armato ai confini dell'Europa dopo decenni ma anche a una vera e propria guerra dell'energia. Più volte - durante diversi Consigli europei, ma anche al G7 di Elmau e al G20 di Roma - il premier italiano ha infatti ribadito sia la necessità di slegare il mercato dell'elettricità dal prezzo del gas, sia l'urgenza di introdurre una regolamentazione del prezzo dei combustibili che arrivano dalla Russia.

Per Draghi, ovviamente, le due novità sono motivo di grande soddisfazione. Perché anche se è vero che il nuovo corso dipende soprattutto dalla crisi d'astinenza da gas che sta colpendo la Germania (e solo in parte dal pressing dell'Italia), non c'è dubbio che l'ex numero della Bce sia stato il primo a guardare in quella direzione. A Palazzo Chigi, dunque, si registra un cauto ottimismo, nella consapevolezza che se le parole della von der Leyen, presidente della Commissione Ue, sono certamente l'indicatore di qualcosa che sta per muoversi sul fronte del mercato dell'elettricità, i segnali arrivati da Berlino (e dall'Olanda) sul tetto al prezzo del gas devono invece passare per i prossimi appuntamenti europei. Al momento, infatti, non c'è ancora una presa di posizione formale, anche se ieri - per la prima volta - il governo italiano ha avuto un'interlocuzione di grande apertura dalla Germania. Niente di ufficiale, solo contatti informali a livello ministeriale (passati per il titolare della Transizione ecologica, Cingolani). Ma, certo, di buon auspicio in vista del vertice dei ministri dell'Energia dell'Ue convocato per il 9 settembre a Bruxelles.

In questo scenario, dunque, è altamente improbabile che Draghi decida di accelerare un nuovo intervento - sarebbe il terzo - per affrontare l'ulteriore aumento delle bollette. Glielo chiedono diversi partiti (alcuni dei quali sono gli stessi che solo un mese fa non gli hanno dato la fiducia), ma al momento le risorse non ci sono. Al di là del cambio di passo di Berlino e Amsterdam, il punto è che una cosa è invocare interventi da 20 o 30 miliardi in un qualche comizio, altra è trovare effettivamente le risorse. Anche perché il decreto Aiuti bis - che ha già stanziato 14 miliardi - risale al 4 agosto, neanche un mese fa. Insomma, spiegano a Palazzo Chigi, «per nuovi interventi serve tempo». Per diverse ragioni.

La prima è che solo verso il 7-8 settembre il ministero dell'Economia avrà un quadro reale di quanto è entrato nelle casse dello Stato grazie alla tassa sugli extraprofitti per le aziende che operano nel mercato energetico (molte di loro hanno fatto ricorso al Tar). Un passaggio decisivo per valutare le risorse effettivamente a disposizione per un intervento. La seconda ragione è che il 9 settembre c'è il Consiglio Ue dei ministri dell'Energia, un appuntamento importante per capire quale sarà il quadro complessivo all'interno del quale si muoverà l'Europa nei mesi a venire. Peraltro, se Germania e Olanda confermeranno il nuovo corso, non è affatto escluso che possa anche esserci anche una sorta di effetto annuncio. Prima di allora, insomma, è quasi escluso un intervento.

Improbabile, in verità, anche dopo. Visto che a quel punto saremmo ormai a due settimane dal voto del 25 settembre e con un governo - hanno fatto notare alcuni partiti durante la querelle su Ita - in carica solo per gli affari correnti.

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