Draghi "sollevato": al lavoro fino al voto. Ma non preparerà la legge di bilancio. Le colpe della crisi

Il premier resta in sella per gli affari correnti ma si limiterà alla Nadef. "Tre partiti cercavano soltanto un pretesto per poter rompere"

Draghi "sollevato": al lavoro fino al voto. Ma non preparerà la legge di bilancio. Le colpe della crisi

Ringrazia «prima di tutto» Sergio Mattarella, «per la fiducia». E poi tutti i ministri, «per la dedizione, la generosità e il pragmatismo dimostrato in questi mesi». Mario Draghi apre così il primo Consiglio dei ministri post dimissioni, con il governo che entra dunque nella fase dei cosiddetti «affari correnti». Dovrà accompagnare il Paese al voto in questi due mesi e poi attendere la nascita del nuovo esecutivo - se tutto va bene a ottobre - a cui passare definitivamente la palla.

L'ex numero uno della Bce ostenta buon umore e dispensa sorrisi. È «sereno», giurano i suoi collaboratori. La verità, come è inevitabile in queste situazioni, è a metà strada. Perché il premier potrà essere sì «sollevato» dal non dover più trattare a oltranza con i veti del M5s o della Lega, ma certo non era questa l'uscita di scena che si era immaginato. E, chissà, magari un minimo di riflessione su alcuni passaggi che potevano essere tarati meglio (a partire dall'incontro con Enrico Letta) deve averla fatta. Poi, certo, di fondo la convinzione di Draghi è che la maggioranza di unità nazionale era ormai compromessa da tempo. Con tutte le emergenze di cui ci siamo e ci stiamo occupando - rifletteva ieri con diversi interlocutori - il problema del M5s era il termovalorizzatore di Roma e quello della Lega le licenze dei taxi. «Ma vi rendete conto?». Insomma, secondo Draghi i tre partiti che non hanno votato la fiducia in Senato - M5s, Lega e Forza Italia - da tempo «cercavano solo un pretesto per rompere».

Detto questo, l'ex numero della Bce è deciso a portare fino in fondo il suo lavoro. La direttiva per gli affari correnti - che indica a tutti i ministri i campi d'azione dell'esecutivo di qui alle elezioni - è peraltro piuttosto ampia. Resta in piedi l'agenda internazionale, che a settembre lo dovrebbe vedere all'assemblea generale dell'Onu di New York (in presenza o da remoto) e i primi di ottobre a Praga per l'avvio del semestre della presidenza ceca. In mezzo, il Consiglio Ue a Bruxelles che dovrebbe occuparsi del delicatissimo dossier del tetto sul prezzo del gas, mentre il G20 a Bali di metà novembre toccherà quasi certamente al suo successore. Poi c'è il capitolo Pnrr. Entro il 31 dicembre, infatti, vanno centrati altri 55 obiettivi, pena la perdita di una rata di 25 miliardi di euro di fondi Ue. E con un dettaglio: la Commissione non contempla il riconoscimento parziale dei target. Insomma, se non si portano a casa tutti i 55 obiettivi non arriva un euro. Infine la legge di bilancio. Che, nonostante alcune pressioni, Draghi non vuole prendere in mano. Si limiterà alla Nadef, la nota di aggiornamento al Def che va presentata alle Camere entro il 27 settembre e che disegna la cornice della legge di bilancio. Che, però, farà il governo che verrà.

Una prospettiva nella quale c'è già chi prova a coinvolgere nuovamente Draghi. Se dalle elezioni uscisse una situazione di stallo o comunque disordinata, l'ex Bce sarebbe disponibile a tornare? Su questo punto, chi ha parlato con il premier, non ha dubbi: l'unica cosa che non vuole vedere ora è un'aula parlamentare. Poi, certo, due mesi in politica sono una vita e chissà. Di certo, Draghi non è disponibile ad avere un ruolo attivo nella campagna elettorale. Altra cosa, però, è la possibilità che il Pd e un pezzo di centro (di cui potrebbero far parte anche i ministri ex azzurri Mariastella Gelmini e Renato Brunetta) possano intestarsi l'agenda politica - interna ed estera - di Draghi. Un'operazione che potrebbe avere un senso anche per i tempi brevi che ci separano dalle urne. Si andrà al voto il 25 settembre - il Colle avrebbe voluto il 18, ma la Farnesina ha fatto sapere di non essere in grado di garantire per quella data la stampa e la distribuzione delle schede per gli italiani all'estero - e le ferite della crisi saranno ancora aperte.

Insomma, il «capitale emozionale» di chi crede sia stato un gigantesco errore mandare a casa Draghi a sei mesi dalla fine naturale della legislatura potrebbe pesare sulle urne. Sia dal lato del centrodestra che da quello del centrosinistra.

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