Il dramma dei genitori che si drogano

Siringhe e cucchiaio: è il nuovo set della classe agiata italiana. Ma i giudici si muovono solo quando scorre il sangue

Il dramma dei genitori che si drogano

«L'eroina non mi fa più l'effetto...prima la fumavo, ho provato anche a bucarmi ora non mi fa quasi più niente, neanche se mi fumo 10 grammi in un giorno».Così si è rivolto a me un importante manager, in giacca e cravatta, che voleva separarsi dalla moglie. Siringhe, accendino, cucchiaio, bottiglietta: è il nuovo beautycase della upper class italiana.La droga, magnificata nei secoli da letterati ed artisti, cela dietro le vestigia di anticonformismo ed evasione, il suo volto mortifero: distrugge l'individuo e ammorba quanti lo circondano, ragione per la quale la sua stessa famiglia viene minata alla radice.Secondo le statistiche, in Italia il 7% di individui adulti (15-64 anni) almeno una volta hanno fatto uso di cocaina. Il Regno Unito è al primo posto per il consumo di ecstasy (8,1%) mentre in Italia il 3% di adulti ha fatto uso di questa sostanza. Non esistono dati disponibili per l'LSD.Cifre impressionanti, ma stando a quanto si vede nei Tribunali le percentuali sono ben diverse e al rialzo. Il fenomeno dei genitori tossici o abusanti di gioco d'azzardo, alcolismo, uso di droghe illecite e problemi mentali è il nuovo dramma della famiglia italiana.I giudici affrontano questo spinoso argomento o nelle aule penali, per gravi reati connessi a maltrattamenti familiari, o nelle aule civili quando il vaso di pandora si apre nel gorgo della separazione coniugale.Sempre di più si registrano matrimoni finiti perché annientati dalla droga, abusata non già dai figli, dramma nel dramma, ma peggio ancora da padri e madri. Quando la situazione non è più gestibile è però già troppo tardi. Infatti, anche se la Legge lo prevede, la richiesta di emettere un ordine urgente di protezione familiare, volta all'immediato allontanamento del coniuge caduto nel tunnel della droga, alimenta un meccanismo perverso per le difficoltà di reperire prove adeguate a conforto del rischio invocato.In altri termini si arriva al paradosso di dover continuare a convivere fino all'udienza con il proprio carnefice di cui si ha il terrore, peggio ancora, dopo avergli reso noto le misure chieste nei suoi confronti. E quando si chiede al giudice una misura preventiva di salvaguardia, ovvero l'emissione dei provvedimenti di protezione familiare prima dell'udienza, è quasi certo il rifiuto, motivato dal pregiudizio e dalla prevalente considerazione del diritto di difesa avversario.A volte, come avvocato, mi abbandono all'amara considerazione per cui i giudici si destano dalla loro atavica prudenza solo quando scorre il sangue, non prima. Ed il sangue è spesso il tributo che esige la droga che, annientando menti e volontà, induce chi ne è vittima a reagire in maniera inconsulta, magari anche soltanto ad una richiesta di separazione.Ho visto foto di figli di pochi anni che giocavano accanto al comodino in cui il padre, addormentato dopo i bagordi, aveva abbandonato strisce di cocaina. Ho consolato uomini la cui moglie, rientrata «strafatta» in piena notte, delirava al cospetto dei figli terrorizzati. Ma questo quasi mai viene creduto di primo acchito dai giudici quando li si implora di provvedere immediatamente: si pensa al fotomontaggio, alla vendetta, al gioco delle parti per delegittimare l'altro e trarre vantaggi in giudizio, dimenticando che se quei bambini finissero per ingerire la polvere sul comodino o nelle grinfie del genitore delirante, la cautela usata per garantire le «due campane» diventerebbe inutile ed imperdonabile.

La droga distrugge anche laddove non si tutelano a sufficienza le vittime. «Comprare droga è come comprare un biglietto per un mondo fantastico, ma il prezzo di questo biglietto è la vita». E, aggiungo io ampliando la celebre frase di Jim Morrison, il prezzo è pure la famiglia.

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