Due idee per formare un vero esercito Ue

Occorre un esercito europeo per affrontare le sfide della guerra ibrida

Esercito Italiano
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Il tema centrale adesso è come difendersi. «Il piano di pace di Putin per l'Africa sembra più realistico della formula di pace svizzera dell'Occidente» si legge in apertura di African Initiative, un sito gestito da uomini fedeli al Cremlino. Questo può essere un buon punto di partenza per affrontare il tema della difesa europea, che sarà centrale a Bruxelles nei prossimi mesi.

Con il supporto della Cina, i russi si sono installati nel Sahel, dove hanno promosso un'alleanza militare tra Mali, Niger e Burkina Faso. L'ombra russa si allunga in Tunisia, dove il presidente Saïed è alle prese con i flussi migratori dal Sahel e ha bisogno dei russi. Dall'area subsahariana, la presenza russa arriva all'Egitto, alleato dell'Occidente, ma con crescenti legami economici con Mosca. Mentre a Sud del Cairo, la Russia fomenta i conflitti nell'area sudanese e si prepara a costruire una base logistica sul Mar Rosso.

Tracciando una linea da Port Sudan a Capo Nord, l'Europa appare stretta in una morsa da Sud a Est, con l'Atlantico che si fa sempre più largo a ovest, visto che la priorità degli Stati Uniti sarà sempre di più il confronto con la Cina nel Sud est asiatico.

L'Europa deve affrontare un'aggressione ibrida, che mescola soft-power, attacchi militari, proxy war, campagne di disinformazione e uso di mezzi civili per scopi militari, come dimostrato dai pescherecci che tranciano cavi sottomarini nei mari del Nord. Con il suo garantismo e i suoi principi legalitari, la Ue è spiazzata. La sua sintassi giuridica non consente la condivisione della sovranità: niente politica estera comune, niente difesa comune. L'Unione è un animale politico nato in cattività, quando il mondo sembrava pacificato nell'egemonia democratico-occidentale. Ora deve imparare a cavarsela nella giungla del XXI secolo.

Da quando la Russia ha invaso l'Ucraina la spesa militare è cresciuta. Se l'Ue fosse uno Stato, sarebbe una potenza paragonabile agli Stati Uniti. Ma la frammentazione delle catene produttive rende difficile un'economia di scala e impedisce l'integrazione logistica. La Nato esercita sicuramente una funzione di deterrenza sul quadrante Nord Est. Ma l'Europa, senza una politica estera e di difesa, non è nelle condizioni di far fronte alle crisi geopolitiche che la riguardano, specialmente nell'area mediterranea, che per noi è cruciale e sulla quale sarebbe necessaria una maggiore attenzione (paradossale, ad esempio, se tanto l'alto rappresentante della politica estera quanto l'annunciato commissario alla difesa fossero espressione dell'Europa nord orientale).

Per integrare i sistemi europei di difesa ci vorrà, comunque, molto tempo. Realisticamente, le direzioni in cui si può lavorare sembrano essere due. La prima consiste nel rafforzamento della cooperazione industriale e militare all'interno dell'UE. Diverse strategie sono già in atto, come la European defence industrial policy. Un ruolo importante, in tale contesto, possono esercitare le Università con corsi specificamente dedicati a formare esperti nella difesa comune e anche nella ricerca.

La seconda è quella della formazione di un'Europa a due velocità, con un nucleo forte di Paesi che convergono sulla difesa comune, promuovendo accordi bilaterali, come ad esempio quelli già stipulati tra Francia e Germania o tra Italia e Francia, per poi arrivare all'eventuale formazione di «coalizioni di volenterosi» in grado di sostenere una politica di interesse europeo in scenari critici, come ad esempio quello libico.

Ciro Sbailò è professore ordinario di diritto pubblico comparato, Università degli Studi internazionali di Roma

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