Esposto chiama esposto. Ma le regole di ingaggio sono diverse. Anzi, opposte. A Perugia arriva la denuncia di un legale che prende di mira il procuratore di Roma Francesco Lo Voi e l'avvocato Luigi Li Gotti, quello che ha ipotizzato per mezzo governo il favoreggiamento e il peculato.
Ma correttamente il procuratore del capoluogo umbro Raffaele Cantone non si lascia teleguidare dall'uomo di legge e segue la strada del buonsenso: apre sì un fascicolo, ma a modello 45, senza indagati e senza ipotesi di reato. Insomma, spegne il fuoco sul nascere.
E però Luigi Mele nel suo Cahier era stato dettagliatissimo: secondo lui Li Gotti sarebbe responsabile di calunnia, attentato contro organi costituzionali e vilipendio delle istituzioni, mentre Lo Voi dovrebbe rispondere di omissioni di atti d'ufficio e oltraggio a un corpo politico.
Si tratta di accuse pesanti, tutte da dimostrare e infatti Cantone va con i piedi di piombo. Anzi, manifesta un certo scetticismo. Non cestina la notizia ma la isola in quella sorta di limbo che è il modello 45, di solito anticamera per la soffitta.
Giusto. Ma non si capisce perché invece Lo Voi abbia schiacciato l'acceleratore e trasformato lo smilzo dossier assemblato da Li Gotti, in pratica alcuni ritagli di giornale, in un atto d'accusa così devastante. Due pesi e due misure?
Il procuratore di Roma continua a ripetere che non aveva scelta: il suo è stato un atto dovuto. Ma la spiegazione non convince e alimenta un carosello di polemiche. Davvero non aveva alternative? Ecco, una strada possibile sarebbe stata proprio quella del modello 45 che prefigura una presa di distanza da quanto viene ipotizzato. Siamo nel campo degli atti non costituenti notizie di reato. Insomma, nella nouvelle vague dei sospetti che presto potrebbero finire in archivio.
Ma è solo una delle possibili vie, perché Lo Voi, secondo altri esperti, avrebbe anche potuto mandare tutto al Tribunale dei ministri, proponendo però l'archiviazione. Eccoci al passaggio decisivo nella ricostruzione del magistrato: la legge costituzionale che regola i reati ministeriali impediva qualunque tipo di indagine; per questo ha mandato il sottilissimo incartamento al Collegio, proprio rispettando la norma che impone di «omettere ogni indagine».
D'accordo, il passaggio è delicatissimo ma l'attenzione alla legge non elimina la valutazione che spetta al magistrato, chiamato a soppesare il dossier recapitato. Altrimenti, come sottolineava l'allora Procuratore della Repubblica della capitale Giuseppe Pignatone in una circolare del 2017, chi confeziona esposti avrebbe un potere enorme: decidere chi inserire nel registro degli indagati, con conseguenze potenzialmente devastanti.
Si tratta, se questa lettura è corretta, di due momenti diversi non sovrapponibili. Un conto è indagare e partire con una raffica di accertamenti, altra cosa è ponderare la denuncia. I semplici sospetti non sono indizi e non c'è, anche se Lo Voi sostiene il contrario, l'obbligo di girare di corsa l'esposto all'autorità competente. In questo caso, appunto il Tribunale dei ministri.
In quest'altra storia, invece sarà Perugia a procedere, perché la città dell'Umbria ha la competenza su tutte le vicende che riguardano le toghe della capitale.
Ma la storia, almeno a quel che trapela dagli uffici giudiziari, è tutta in discesa per Lo Voi e Li Gotti. Il fatto che si segua il modello 45 indica che lo screening è stato compiuto.
E dunque non si vedono reati, né quelli indicati a grappolo nell'esposto né altri, e tantomeno indagati. L'atto d'accusa viene depotenziato sul nascere, tutto il contrario di quel che è accaduto a Roma. Qui la notizia della premier sotto indagine ha fatto il giro del mondo.
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