Due spari a Ocean's Drive. Così muoiono gli Anni '90

Amico delle star, nemico dei salotti: Gianni ha disegnato un sogno. Spezzato quel giorno a Miami

Due spari a Ocean's Drive. Così muoiono gli Anni '90

Per spiegare cosa siano stati Gianni Versace e gli anni Novanta, perché sì, loro erano la stessa cosa, bisogna riguardare le foto di quel 22 luglio 1997 in Duomo, quando, seduti sulle prime panche della chiesa, davanti alla bara, per l'ultimo addio allo stilista, c'erano Lady D (sarebbe morta un mese dopo, il 31 agosto, sotto il pont de l'Alma a Parigi), Elton John, Sting e Naomi Campbell: mine vaganti. Tutta gente che ha rivestito un ruolo, il proprio ruolo, spostandolo, trasformandolo per sempre. Segnando il confine tra il prima e il dopo. La principessa triste, la venere nera, il sir sposato a un altro sir, la star ecologista del sesso tantrico. Divi eversivi e indispensabili. Proprio come lui, Gianni. Ucciso la mattina del 15 luglio a Miami, davanti alla sua casa in Ocean's Drive: chiavi in una mano, giornali nell'altra e due colpi in testa sparati dalla rabbia di un party boy, Andrew Cunanan, che in nessun altro modo, la trama della vita avrebbe messo sulla stessa strada dello stilista calabrese. Ci sono volute tante mine vaganti per fare gli anni Novanta. E cosa siano le mine vaganti lo racconta Ilaria Occhini interpretando la nonna di una complicata famiglia del film di Ferzan Ozpetek. Così lascia scritto prima di scegliere la morte, lei diabetica, ingurgitando elegantemente ma voluttuosamente, un numero imprecisato di procaci pasticcini ripieni: «La mina vagante se n'è andata. Così mi chiamavate pensando non vi sentissi. Ma le mine vaganti servono a portare il disordine, a prendere le cose e a metterle in posti dove nessuno voleva farcele stare, a scombinare tutto, a cambiare i piani». Gli anni Novanta sono stati le mine vaganti della vita degli adulti di oggi. Sono stati gli anni che hanno traslocato i desideri, insuperbito i sogni, che ci hanno trasformati in barbari passionali con viscere d'acciaio. E lui, Gianni Versace, quegli anni li ha disegnati. Spogliando la moda, che sempre racconta chi siamo, e rivestendola: greche, pelle, borchie, croci, catene d'oro, spacchi e animalier. Un'orgia di simboli sotto il marchio della Medusa che è sì la femme fatale che ammalia e pietrifica ma è anche il trionfo della ragione sui sensi. Paradossale per Versace e la sua allegra aggressività visiva. Uno che ha preso a schiaffi l'haute couture e l'ha svegliata dal suo sonno perbene e desensualizzato. Non piaceva a tutti, Versace, ovvio. Perché non ci sono sogni a scanso di guai. E perché non era uno che pensava che la prudenza fosse la parte migliore del coraggio. Osava Versace, non faceva altro e chi osa ha familiarità con lo spavento. Se ne fregava dei salotti buoni e di quelli chiusi, lui piaceva a quelli che piacevano (mantra dell'era scintillante e smargiassa). Era amico di star, principesse e milionari. Non si vergognava, non arretrava e non chiedeva permesso. Così era arrivato perfino alla Scala, a disegnare i costumi per le opere di Strauss e Mahler. Questi erano gli anni Novanta: il fragore nella chiesa laica. E questo era Versace: troppo temerario quel signore dall'anima barocca che già da bambino, nel tinello della madre a Reggio Calabria, disegnava le sue icone: quattro quadretti di quaderno per il seno della Lollo, cinque per quello della Loren, sei per quello della Mangano... Gli sono rimaste in testa, le donne, almeno in un certo senso. E da grande le ha create. Ha preso le «model», paletti diafani ed esili appena spolverati dagli sguardi, ha aggiunto loro forma, spessore, denaro e dignità e le ha fatte diventare «top model»: Claudia Schiffer, Naomi Campbell, Carla Bruni, Linda Evangelista, Cindy Crawford, Helena Christensen, Christy Turlington, Karen Mulder e Yasmeen Ghauri. Nel 1991 ne ha gettata una manciata in passerella sulle note di «Freedom» di George Michael, altro amico suo e altra mina vagante, camminavano tra il pubblico abbracciate, come amiche uscite dalla discoteca: e le top model sono diventate gli anni Novanta. Come gli scatti di Richard Avedon, le feste nei night club, Forrest Gump, la street e pop art, «Non è la Rai», «E.R.» e «Law and Order», il bungee jumping, il Tamagotchi, il «Karaoke» di Rosario Fiorello che poi è stato solo Fiorello (a proposito di mine vaganti), i distributori di gasolio aperti 24 ore, la benzina verde, la quotazione in Borsa di Mediaset, Lara Croft, Google e i telefoni cellulari come fenomeno di massa. Tempi sguaiati e avvincenti, tempi che hanno rotto gli argini per buttarsi avanti e avanti non sempre ci si arriva ordinati. Chiedetelo alla Prima Repubblica, che avanti non ci è proprio andata. È iniziata la Seconda, in quegli anni. Tangentopoli, la fine della Guerra fredda, la Democrazia cristiana e il Partito socialista si sono sciolti a un sole politico dalle nocche roventi. Il Partito comunista e il Movimento sociale hanno cambiato nome e sono nati anche Forza Italia e Lega Nord, e l'Ulivo di Prodi... Madonna (Musa di Versace e di quegli anni) interpretava Evita Peron al cinema, Tina Turner cantava con Eros Ramazzotti: «Sono cose della vita». Volume alto e gonne corte. Gli anni Novanta sono stati come gli appetiti che nella vita insorgono quando abbiamo già risolto di mangiare, quelli che non possiamo comprendere finché non abbiamo mangiato, cioè, a ben vedere, i più nobili: estetici, coniugali, artistici, religiosi... Quei due spari a Miami, la mattina del 15 luglio 1997, non si sono portati via «solo» Gianni Versace e il suo genio. Si sono portati via l'ultimo decennio del Ventesimo secolo, gli anni Novanta: irresponsabili, cotonati, dopati. Ma per quelli che sono stati ragazzi allora, è stato come sgomberare dal paradiso in cui avevano trovato alloggio, diventare adulti in una notte. Ed è vero che non si resta per sempre in ammollo dei sogni. C'è chi sostiene che gli anni Novanta siano stati una bolla irreale, corruttiva e inconcludente. Che solo dopo averli sudati via, quegli anni, siamo ritornati un Paese adulto, o quantomeno un Paese con la consapevolezza di dover diventare adulto, anche se poi non ci riesce mai per mille ragioni. E insomma, comunque, estasi finita, sbornia passata.

Come chi abbia terminato i soldi di una vincita all'Enalotto. Ma è proprio questo, il problema: la vita continua a lungo anche dopo che la fortuna è finita. Si resta giovani, ahinoi, ben oltre la fine della gioventù. Ben oltre gli anni Novanta. Quelli di Gianni Versace.

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