Ci sono quelli che hanno giocato d'anticipo, dimettendosi dall'Associazione nazionale magistrati prima di venire sospesi ed espulsi: ovvero gli ex consiglieri del Csm Luigi Spina, Antonio Lepre, Gianluigi Morlini e Corrado Cartoni, finiti anche loro nel gorgo dell'inchiesta di Perugia. C'è chi ha cercato di sottrarsi al giudizio in ogni modo, come il loro collega Paolo Criscuoli, e che ieri invece si prende una sospensione di cinque anni. E poi ci sono tutti gli altri. Le decine e decine di magistrati che con il «sistema Palamara» sono andati a nozze per anni, traendone avanzamenti e potere, e che nelle settimane scorse leggevano con angoscia i giornali ogni mattina temendo di vedere affiorare il loro nome nelle chat del collega precipitato nel fango.
Alcuni nomi non sono usciti, e forse non usciranno mai, grazie a provvidenziali buchi nelle registrazioni del trojan. Ma molti altri sono usciti, con ruoli più o meno gravi, con compromissioni più o meno esplicite. Ed è su questi nomi che si gioca la vera partita. Perché se davvero si andasse al repulisti dei collusi e degli acquiescenti, mezza generazione di toghe verrebbe travolta.
La cacciata dall'Anm è di una gravità difficilmente comprensibile, per chi non fa il magistrato: si tratta in teoria di una associazione privata, una sorta di sindacato. E nessuno si straccia le vesti per essere espulso dalla Cisl o dalla Uil. Ma il ruolo di potere abnorme acquisito dalla Anm è tale che esserne radiato equivale a divenire un reietto dalla casta. E suona come una anticamera della punizione finale, il licenziamento dalla magistratura. Anche così si spiega la parsimonia con cui in questi anni l'Anm ha esercitato le sanzioni sui suoi iscritti. Tra i pochi a venire cacciati, nel 2017, il giudice palermitano Silvana Saguto. Per il resto, il sindacato delle toghe ha tenuto tranquillamente tra le sue file colleghi che ne facevano di tutti i colori, dagli assenteisti conclamati ai guidatori in stato d'ebbrezza. Compresi giudici condannati con sentenza definitiva, a differenza di Palamara che per ora è soltanto indagato.
Per i miracolati del «sistema Palamara» l'Anm non ha finora preso alcuna iniziativa, trincerandosi dietro la impossibilità di ottenere dalla Procura di Perugia la copia ufficiale degli atti: come se i contenuti delle chat non fossero ormai di pubblico dominio. Ma altrettanta cautela la sta impiegando la Procura generale della Cassazione, che invece gli atti li ha tutti a disposizione. L'effetto, per alcuni aspetti surreale, è che il procedimento disciplinare davanti al Csm è scattato per Palamara, che all'epoca dei fatti dell'Hotel Champagne - la sede della grande spartizione delle cariche - era poco più che un privato cittadino, e non per i consiglieri in carica del Csm che le indicazioni del pm romano le ascoltavano e quasi sempre le eseguivano.
A meno di un insabbiamento clamoroso, anche questi magistrati dovranno prima o poi finire sotto procedimento disciplinare: ma il loro obiettivo è finire in un giudizio separato, in modo di non dover sedere sullo stesso banco degli accusati di Palamara, il collega che vorrebbero non aver mai conosciuto.
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